Si è chiuso il Sinodo africano, celebrato in Vaticano dal 4 al 25 ottobre. Un avvenimento ecclesiale, ma non solo ecclesiale bensì di interesse mondiale: oltre la denuncia degli squilibri e degli egoismi che assediano l’Africa, emerge un forte richiamo alle responsabilità locali e della comunità internazionale.
È vero, purtroppo, che ci sono stati vuoti di informazione da parte dei grandi mezzi di comunicazione sociale, stampa e televisione. Ma l’Africa ha voluto lei stessa parlare: e ha parlato forte nel messaggio dei Vescovi africani al termine del Sinodo e nelle 57 proposizioni raccolte dai Padri sinodali, contenenti proposte concrete affidate al Santo Padre Benedetto XVI perché ne elabori la esortazione post-sinodale. Nell’omelia della messa conclusiva del Sinodo, Benedetto XVI, nell’esegesi del Vangelo di Bartimeo, ha visto “la Chiesa che è in Africa, attraverso i suoi Pastori venuti da tutti i Paesi del Continente, dal Madagascar e dalle altre isole, accogliere il messaggio di speranza e la luce per camminare sulla via che conduce al Regno di Dio… Così la comunità ecclesiale sulle orme del suo Maestro e Signore è chiamata a percorrere decisamente la strada del servizio, a condividere fino in fondo la condizione degli uomini e delle donne del suo tempo per testimoniare a tutti l’amore di Dio e così seminare speranza.
Questo messaggio di salvezza la Chiesa lo trasmette coniugando sempre l’evangelizzazione e la promozione umana”. Si è potuto rallegrare il Santo Padre del buon lavoro fatto dal Sinodo sottolineando come il tema non fosse una sfida facile, con due pericoli: “Il tema ‘riconciliazione, giustizia e pace’ implica certamente una forte dimensione politica, anche se è evidente che riconciliazione, giustizia e pace non sono possibili senza una profonda purificazione del cuore, senza un rinnovamento del pensiero, una metànoia, senza una novità che deve risultare proprio dall’incontro con Dio. Ma anche se è così, se questa dimensione spirituale è profonda e fondamentale, pure la dimensione politica è molto reale, perché senza realizzazioni politiche queste novità dello Spirito comunemente non si realizzano… Per evitare la politicizzazione, l’altro pericolo – ha continuato il Papa – era quello di ritirarsi in un mondo puramente spirituale, magari astratto e bello, ma non realistico. Il discorso di un Pastore deve essere realistico, deve toccare la realtà, ma nella prospettiva di Dio e della sua Parola”. Con questo Sinodo l’Africa rientra in gioco nello scacchiere mondiale con una nuova coscienza di sé: è questa coscienza, emersa nei lavori sinodali, a rendere credibile la nuova partenza.
La trattazione di questioni sociali urgenti si alterna a scelte concrete sul piano della formazione e della pastorale, come il buon governo, l’acqua, l’immigrazione, il commercio delle armi la giustizia, la violenza sulle donne e i bambini la fuga dei cervelli, la cura dell’Aids, la divisone degli utili e temi che riguardano la pratica individuale e comunitaria della penitenza, il dialogo ecumenico, la promozione delle donne nella Chiesa, l’inculturazione della fede e della teologia, la formazione del clero, la catechesi invitata a recepire la dottrina sociale.
La soddisfazione di Benedetto XVI e la fiducia nell’Africa, quale “polmone spirituale” per un’umanità che appare in crisi di fede e di speranza, si manifestano anche nella promozione all’incarico di presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace al card. Peter Kodwo Appiah Turkson, finora arcivescovo di Cape Coast (Ghana), relatore generale nel Sinodo, quale successore del card. Renato Raffaele Martino, dimissionario per raggiunti limiti di età.