Il 14 agosto p.v. sarà un anno da quando il mio vescovo, Mario Ceccobelli, il giorno del suo 75° compleanno, ha dato le dimissioni da vescovo di Gubbio. “Dimissioni”: si dice così? Che tipo di vescovo ci augureremmo, a Gubbio, se è lecito esprimere un desiderio, o perlomeno un augurio?
Lungi da me anche solo l’intenzione di esprimere in questa sede un giudizio sull’operato di “don Mario”, come s’è sempre fatto chiamare da noi preti: il grande affetto che sul piano personale mi ha sempre dimostrato falserebbe in radice ogni mio eventuale pronunciamento.
Che tipo di vescovo. Confesso che, su questo tema, mi sento fortemente condizionato. La mia associazione, il Gibbo, dieci anni fa m’ha commissionato una lettera settimanale, che un tecnico che non conosco spedisce a destinatari che non conosco. La prima parte di questa lettera l’ho dedicata a un tema che domina anche oggi i miei residuali circuiti cerebrali: Chiesa e poveri, un amore lungo e problematico. Scrivo in un ambiente per nulla asettico, ma abbondantemente viziato dall’aver vissuto 46 dei miei 56 anni di sacerdozio in full immersion quotidiana con gente che, a vario titolo, qualcuno o qualcosa aveva emarginato dalla vita, anche gravemente. E questo mi rende inguaribilmente parziale, schierato.
Da quest’angolo visuale ho seguito passo passo la vicenda di alcuni Papi santi, che nei confronti della Chiesa hanno avuto grandi meriti e altrettanto grandi demeriti. Il beato Pio IX, san Pio X.
A Pio IX va riconosciuto il grande merito di aver dato alla Chiesa cattolica un’unità che nel passato non aveva mai avuto: l’ha fatto tramite il Concilio Vaticano I e la massima definizione dogmatica pronunciata da quella suprema assemblea ecclesiale. Rettamente interpretato, cioè all’interno di una Chiesa che serve e non domina, il dogma dell’infallibilità del Papa centra la Chiesa intorno a un perno unico che sostiene e rende uniforme la rotazione dei vari corpi ecclesiali, unificando anche le più marcate diversità. Ma, Signoruccio mio!, il Sillabo è e rimane un mattone impossibile da digerire. Non si può vedere tutto il mondo in chiave negativa, perché non esistono tesi di principio o indicazioni comportamentali del tutto negative, e la Chiesa ha il compito ovvio di salvarle tutte, limitandone il campo ed esaltandone le potenzialità positive e propositive.
Su san Pio X ho dovuto titolare: “Un Papa santo e impreparato”. La sua pastorale è stata tutta intraecclesiale, e questo lo ha distolto dal pronunciare un’autorevolissima, necessaria, irrimandabile parola di condanna dei mostri che in tutta Europa andavano crescendo a dismisura durante il suo pontificato: l’imperialismo, il nazionalismo, il colonialismo, l’antisemitismo. San Pio ha taciuto.
Finalino: a Gubbio ci aspettiamo un vescovo che sul piano personale sia un santo, e sul piano culturale sappia leggere i segni dei tempi. Un vescovo – diciamo – alla Papa Francesco.