È la celebrazione che segna l’addio terreno di Gesù alla piccola comunità dei suoi discepoli, e fa da cerniera tra il tempo di Gesù e quello della Chiesa. Gesù ha dato testimonianza a più persone e in diverse occasioni del suo ritorno in vita, mostrando e facendo verificare a chiunque, a cominciare dall’ostinato Tommaso “il piccoletto”, il suo corpo con i segni concreti della orrida crocifissione (lo squarcio dei chiodi nelle mani, quello della lancia nel suo costato…). Ed ora può tornare al Padre, nel mistero di Dio da cui proveniva, lasciando alla piccola comunità di credenti in lui, la Chiesa, di continuare la sua opera di evangelizzazione non più solo nella “terra della promessa”, ma ovunque.
A questo scopo i discepoli riceveranno una specifica forza dello Spirito santo, che da Gerusalemme li spingerà in ogni parte del mondo, perché il Vangelo di Gesù, che dà un senso al tempo cronologico e al non-tempo dell’eternità, è buona notizia per tutti coloro che la terra alberga e albergherà fino alla fine. Quella dell’Ascensione è una scenografia insolita, che si collega a quella della Trasfigurazione; ambedue segnano il contatto tra cielo e terra: non è il cielo che, con il bimbo Gesù, scende sulla terra, ma è la terra che, con il Cristo risorto alla vita, sale in cielo, ad indicare una compenetrazione tra i due mondi, il visibile e l’invisibile, ambedue chiamati a formare il regno di Dio.
Nel “frattempo” che è proprio della Chiesa, il Cristo, entrato nel vero santuario in cui Dio abita con la sua presenza e la sua grazia, si trova ora “al cospetto di Dio per parlargli in nostro favore”. Egli, “nella pienezza dei tempi”, e cioè i tempi messianici, nei quali avviene la piena e definitiva rivelazione di Dio, “è apparso in terra per annullare il peccato degli uomini mediante il sacrificio di se stesso” (Eb 9,26). Ed è proprio così che può essere sempre presente accanto alla Chiesa che lo riconosce e lo adora come Figlio di Dio, e lo testimonia annunziandolo al mondo come Salvatore, l’unico salvatore dalla schiavitù del male e del peccato. Non possiamo non essere lieti nel sapere che abbiamo un formidabile intercessore presso Dio, lui che conosce per esperienza diretta la nostra fragilità. Proprio in questa festa dell’Ascensione di Gesù al cielo, la Chiesa vuol ricordare a tutti i battezzati che sono anch’essi, e non solo gli Undici apostoli, coinvolti nel dovere della evangelizzazione.
L’evangelista Luca all’inizio del libro riguardante la storia della Chiesa delle origini, cioè gli Atti degli apostoli, nel brano che abbiamo già letto in apertura, ci descrive con precisione la dinamica dell’ascensione: mentre gli apostoli guardavano Gesù che parlava e salutava, “fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono e dissero: ‘Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in Cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo’” (Atti 1,10-11). L’ascensione, quindi, non conclude la storia di Gesù: tornerà sulla terra, tornerà… Per questo il libro profetico conclusivo della Bibbia, l’Apocalisse, libro che è giudizio sulla storia futura, si conclude con una serie di invocazioni della Sposa, la Chiesa, che dice allo Sposo Gesù: “Vieni, Signore, vieni!” (Ap 22,17 e 20).
È l’apostolo Paolo che ci trasmette l’invocazione in lingua aramaica diventata già liturgia, in uso nelle prime comunità palestinesi e presto diffusa ovunque: Marànatha, e cioè “Signore, vieni!” (1 Cor 16,21). Questo grido d’attesa lo ritroviamo ancora nella messa quando, al momento della comunione, il sacerdote prega: “Liberaci, Signore, da tutti i mali… nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo”. Ma quel rimbrotto degli uomini in bianche vesti: “Perché state a guardare il cielo?”, significa anche: “Guardate ora la terra, ove occorre seminare in abbondanza il buon grano, e siete tutti voi qui presenti i seminatori attraverso una continua efficace evangelizzazione”. Rimanga certamente la nostalgia dello Sposo, ma la Chiesa Sposa è ora inviata per la missione, alla quale nessuno può sottrarsi.
Il Signore Gesù ci garantisce: “Non vi lascerò orfani: verrò a voi” (Gv 14,18), e intanto ci manderà in aiuto lo Spirito santo (Gv 15,26). Questo dell’evangelizzazione è ormai il nostro precipuo dovere. È in questo contesto, calato nella cronaca di tutti i giorni, che si collocano gli strumenti della comunicazione sociale, oggi diventati registi del nostro vivere e del nostro pensare. Strumenti d’una tecnica raffinatissima, capaci di veicolare bene e male, vita e morte, verità e menzogna, in tutti gli ambienti e per tutte le persone. A noi il dovere di entrarci senza ritrosie, ma in maniera attiva e partecipativa; di discernere l’autentico dall’inautentico; di coinvolgerci, a cominciare dai mass media in uso nella nostra Chiesa locale.