Nel cammino lungo la storia delle comunità cristiane che vivono nell’Umbria, raccolte e articolate in otto diocesi, seicento parrocchie, il settimanale La Voce, nei suoi sessanta anni trascorsi (1953 -2013) è stato un compagno fedele, un amico, segnando parole, eventi tracciando così un sentiero riconoscibile tanto da lasciare un segno che rimarrà nella storia della nostra regione. Le persone che hanno lavorato al settimanale nei vari compiti, dai giornalisti, ai grafici, ai corrispondenti dalle città e paesi, agli incaricati della pubblicità e della diffusione sono da ricordare con gratitudine ed ammirare per un lavoro svolto con amore, professionalità, passione e disinteresse totale. Alcuni hanno avuto in cambio solo esperienze e formazione spirituale e culturale.
Da ricordare sono soprattutto i lettori. Ricordo ancora una vecchia casa canonica con un signore attempato, probabilmente il padre del parroco, che aveva steso le pagine de La Voce sul tavolo della cucina sotto la lampadina centrale e che con gli occhiali in punta di naso stava leggendo. Questi in grande numero sono stati i nostri lettori: gente del popolo, delle campagne, famiglie di operai e persone impegnate nella vita della Chiesa. Non ci hanno disdegnato neppure gli intellettuali, soprattutto quelli provenienti dall’Azione cattolica che si sono fatti partecipi di preziose collaborazioni. La Voce ha avuto lungo questi decenni uno “zoccolo duro”, come si dice per indicare un certo numero di persone affezionate che attendevano con vivo desiderio l’arrivo del giornale.
Se ritardava – in certa misura questo accade anche ora – si preoccupavano e si domandavano: cosa è successo? Questo zoccolo duro nello scorrere del tempo si è venuto assottigliando non essendo stato sufficiente l’inserimento di nuovi soggetti. L’invecchiamento della popolazione umbra è un dato che sta sotto gli occhi di tutti. L’aumentato numero degli abitanti, sia pure lieve, è determinato dagli immigrati. Così stando le cose ci siamo modernizzati già da 20 anni spostandoci con una parte di informazione sul web. Non perdiamo la speranza e la voglia di continuare a contare sull’interesse e la lettura de La Voce e per questo ci riserviamo di sviluppare durante quest’anno iniziative idonee a tenere alta l’attenzione dell’Umbria sul nostro settimanale e di contro di tenere alta l’attenzione del settimanale sull’Umbria.
Tra le altre osservazioni riteniamo di poter dire che l’Umbria senza questa narrazione fatta da La Voce lungo tutte le fasi della sua storia di questi 60 anni sarebbe potuta apparire con un volto deformato o con la maschera del laicismo, del comunismo, l’Umbria rossa anziché verde, anticlericale, con una forte presenza di logge massoniche, rissosa per i campanilismi esasperati, oppure soltanto terra di arte, folklore e di buona cucina. Sarebbe venuto a mancare tutto lo spirito del Vangelo vissuto e della carità del popolo di Dio.
Il lato religioso si sarebbe forse appiattito sui Ceri di Gubbio, eventi spettacolari di massa e magari qualche scandalo. La Voce ha avuto l’intento, più o meno riuscito, di raccontare la Chiesa nella ricchezza delle sue espressioni pratiche. Quella vita che scorre nel quotidiano dell’esistenza e non fa notizia nelle pratiche quotidiane delle parrocchie, delle comunità religiose, delle devozioni popolari, delle prese di posizione dei vescovi sui temi emergenti della società. Nella ampia prospettiva dei 60 anni si può considerare una specie di svolta e di rilancio nella direzione, che potremmo definire dialogica e conciliare. Per fare un esempio, se prima era molto “missionaria” dopo il 1984 era anche interreligiosa e dialogica, ecumenica e aperta al dialogo con gli ebrei, attenta alla svolta culturale.
Nel primo numero dell’’84 viene dedicato un servizio sul Grande fratello che prelude al controllo cui siamo tutti soggetti con le nuove tecnologie. In quel numero abbiamo scritto un programma e iniziato uno stile che voleva essere nuovo nella continuità con l’ispirazione originaria. Nuovo soprattutto per il radicamento nel territorio regionale e per quel modo di “sentire” e di vivere la fede che proveniva dal Concilio nella fase di assimilazione e di discussione. Siamo nel periodo della piena manifestazione della personalità del papa Giovanni Paolo II. Nel primo numero è riportata la foto di Woytjla che visita il suo attentatore Alì Agca in carcere per concedergli il perdono per l’attentato subito. Tempi eroici per una Chiesa che vede nel suo sommo pontefice il segno del martirio. Di numerosi pellegrinaggi in Umbria il Papa è stato attore e protagonista costruendo e diffondendo in tutto il mondo lo stile di civiltà improntato sulla ricerca della pace definito lo “spirito di Assisi”. La Voce ne è stata custode fedele e diligente.
I cattolici umbri, con questo mezzo di comunicazione, non sono stati semplici e inerti spettatori, ma interlocutori e protagonisti. Anche l’ultima visita di papa Francesco del 4 ottobre scorso è stata da noi raccontata ampiamente e i due numeri de La Voce che riportano quell’evento sono stati presentati e offerti da me personalmente a papa Francesco quando sono stato ricevuto a Santa Marta il 18 ottobre scorso. Cattolici impegnati nelle varie diocesi, parrocchie, gruppi e movimenti, ne La Voce hanno trovato uno spazio, una piazza, se volete, dove potersi riconoscere e ritrovarsi a discutere. I vescovi hanno avuto anche essi una visibilità e una opportunità di dare messaggi e di ricevere informazioni che li potessero interessare per lo svolgimento del loro ministero. Hanno avuto una finestra aperta sulle loro comunità ed hanno potuto inviare messaggi ed esprimere il loro punto di vista. Ogni settimana un vescovo si rivolge alla comunità regionale in un suo spazio riservato, che non è mai stato vuoto.
Possiamo dire che in questi sessanta anni La Voce ha assolto ad un compito che gli era stato assegnato fin dalla sua nascita dal vescovo Carlo Urru, a nome della Conferenza dei vescovi dell’Umbria. In modo del tutto particolare il settimanale è stato un “prodotto” umbro, fatto da umbri e per gli umbri, evitando tuttavia la tentazione della chiusura campanilistica e del provincialismo sordo ai richiami della Chiesa universale. Più di una “voce” si è spenta in questi anni, e la nostra, grazie a Dio è rimasta a dire e anche a gridare le sue ragioni. “Le ragioni della nostra speranza”, come recita l’articolo di prima pagina dell’84, sotto la stupenda immagine del Cristo di Vezelay.