La storia a lieto fine di un uomo mezzo morto

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Giuseppe Chiaretti XV Domenica del tempo ordinario - anno C

Paolo, scrivendo alla comunità cristiana di Colosse, si attarda nel fare un identikit di Gesù, riportando un bell’inno cristologico in uso nelle comunità d’Asia. Nella prima parte si evidenzia la natura del Cristo (icona del Dio invisibile, il quale manifesta se stesso in Gesù; archetipo e dominatore di tutto il creato…), e successivamente la sua funzione ecclesiale e sociale (capo del suo Corpo ecclesiale che è la Chiesa, antesignano dei risorti, punto di convergenza d’ogni benedizione, riconciliazione universale…). Sono elementi di quel “primato su tutte le cose”, di quella totalizzante “pienezza”, che lo fa “Signore” con il doppio primato nell’opera della creazione e nell’opera della redenzione. Lui è la Parola eternamente detta dal Padre, che in se stesso vela il mistero di Dio e nello stesso tempo lo svela (re-velatio) come è già avvenuto attraverso il creato e attraverso la sua parola, a noi fatta giungere mediante i suoi profeti.

Una Parola che trova la sua narrazione nella sacra Scrittura, la Bibbia, nel suo volgersi storico dal racconto catechetico della creazione alla incredibile vicenda di Gesù ucciso e risuscitato. Parola comunque che ha un solo scopo: provocarci a conversione di vita, seguendo Colui che è la via, la verità, la vita. Ci assicura il profeta della prima lettura: “Questa parola è molto vicina a te; è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”. Il racconto del Vangelo, tratto dal testo di Luca, ci provoca immediatamente mettendoci a confronto con uno dei tanti feriti della vita, per verificare il livello della nostra conversione dal male al bene e dal bene al meglio. Si tratta d’un dottore della Legge, d’un erudito devoto perciò, che chiede a Gesù lumi per imboccare bene la strada che conduce al Regno.

Gesù rimanda l’interlocutore alla legge fondativa dell’amore, visto che i due pilastri d’una vita giusta, approvata anche da Dio, sono l’amore a Dio sopra ogni cosa e l’amore al prossimo come a noi stessi. Ma il dottore, “volendo giustificarsi” della gaffe fatta, seguitò: “E chi è il mio prossimo?”.Per gli ebrei il prossimo poteva essere solo un ebreo. Per Gesù è diverso: il prossimo è quello di cui ti fai prossimo con l’amore e la compassione che ti spinge a condividerne la sorte, soprattutto se povero e bisognoso di aiuto, anche se non è ebreo, anche se non lo conosci, anche se è un tuo avversario o addirittura un tuo nemico. Soprattutto vedendolo “mezzo morto”: il che vuol dire che se non lo soccorri, gli neghi quella “mezza vita” che hai in mano tu che puoi e devi soccorrerlo, e non importa chi sia. Il prossimo non te lo scegli: te lo dà la vita.

Per questo tutti sono il “prossimo”, e devi guardarlo con l’occhio della fraternità, anzi di più, con l’occhio della fede, perché al giudizio ultimo ci sarà detto dal giudice, che è poi Gesù stesso: “Ero affamato, ero malato, ero carcerato, ero perseguitato…”. Vuol dire, allora, che ognuno di questi bisognosi è “sacramento di Gesù”, e l’aiuto che avremo dato a ognuno di questi “piccoli”, fosse pure “un bicchiere d’acqua fresca” (Mt 10,42; Mc 9,41), l’avremo dato a lui (Mt 25, 40). Cosa dire poi del male che possiamo fare proprio ultimi arrivati alla festa della vita, i bambini preziosi e fragili, dei quali Gesù si erge a difesa con parole acerrime e terribili che non ha usato in nessun altro caso? “Chi scandalizzerà anche uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare!” (Mt 18,2).

Con tutte le considerazioni che oggi è doveroso fare a proposito dei pedofili, preti compresi laddove questo dovesse avvenire, ma anche degli scandali molteplici e gravi in ambito familiare, mass-mediale, del costume pubblico, educativo, politico. Dopo la lezione Gesù chiese al dottore: “Chi ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. Il dottore rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli rispose semplicemente: “Va’ e fa’ anche tu lo stesso”. Dal giorno in cui questa pagina bellissima e intransigente fu detta e scritta, la storia del mondo è cambiata, e i cristiani devono essere i primi a difendere e servire i poveri, quali che siano e dovunque siano, e a pretendere con ogni mezzo che vengano rispettati e tutelati da chicchesia, anche e soprattutto dai detentori del potere, d’ogni potere.

AUTORE: Giuseppe Chiaretti