Era previsto – e lo avevamo scritto – ed è successo. Il Tribunale per minorenni di Roma ha concesso una stepchild adoption a una coppia omosessuale maschile; ne aveva concesse già diverse a coppie omosessuali femminili. Più precisamente: ha concesso a un uomo di diventare padre adottivo di un bambino che è figlio naturale, e anche legale (e lo rimane) del suo compagno. Il bambino era stato procreato all’estero ricorrendo a una maternità surrogata (altrimenti detta “utero in affitto”). Come sappiamo, la legge sulle unioni civili, ormai quasi pronta, non parlerà delle adozioni, né per permetterle né per vietarle.
Tante discussioni, tanti scontri in Parlamento sono stati tempo sprecato: le adozioni delle coppie omosessuali sono un fatto. È possibile tornare indietro?
Direi di no. Nel mondo contemporaneo non esistono solo i Codici dei singoli Paesi; c’è un diritto sovranazionale (imposto dai Trattati e dalle Corti sovranazionali) e anche un diritto transnazionale, che si potrebbe anche chiamare diritto globale (ossia del globo terrestre): ogni Stato deve fare i conti con ciò che in altri Stati è legale, perché le persone si spostano e portano con sé i propri diritti.
Il discorso poi può essere diverso a seconda che si discuta dell’adozione gay (problema che i giudici risolvono caso per caso, attenendosi al principio che su tutto prevale l’interesse del bambino) o della maternità surrogata. È quest’ultima che provoca gli interrogativi più gravi dal punto di vista sociale e morale; ed è dunque di questa che la politica italiana dovrebbe occuparsi, o avrebbe dovuto farlo per tempo. Avrebbe dovuto farlo, però, nelle sedi appropriate, quanto meno a livello europeo, e magari a livello globale. Così dovrebbe fare uno dei Paesi più ricchi e civili del mondo. Ma i politici italiani non hanno mai avuto la capacità di guardare oltre i confini, non dico dell’Italia, ma dei loro collegi elettorali.
Per di più, certe questioni hanno sempre preferito accantonarle, mentre altrove venivano risolte, magari male. Così il mondo ci mette di fronte ai fatti compiuti. E noi, invece di avere un ruolo guida, dobbiamo subire.