Riconsegnare alla memoria le immagini della Shoà fa un’impressione raccapricciante. Ma è atto doveroso verso il popolo ebraico, che ha pagato un prezzo troppo alto ad una follia ideologica della quale non possiamo che vergognarci. È un esercizio di verità che non riguarda solo il passato, ma il senso perenne della nostra umanità. È un dovere educativo verso le nuove generazioni, che rischiano, per vuoto di memoria, di rimanere prive di anticorpi rispetto a rigurgiti di aggressività antisemita. Sono stato particolarmente impressionato dall’attenzione con cui studenti del territorio, in un’iniziativa promossa dal Comune di Assisi, hanno ascoltato i racconti di alcuni testimoni di quegli anni bui. Guardare in faccia chi racconta che cosa ha provato, quando ha sentito sulla sua pelle la sferza di un’arroganza brutale, per il solo fatto di essere ‘ebrea’, fa una sensazione che incolla al racconto, fa rabbrividire, fa pensare. A quegli stessi ragazzi ho potuto spiegare che quanto i nostri fratelli ebrei hanno patito a causa dell’ideologia nazista, riecheggiata anche in Italia con le leggi razziali, ci tocca profondamente. Ci tocca come uomini, dal momento che chiama in causa per tutti il diritto alla vita e il rispetto dei diritti umani fondamentali. Ci chiama in causa anche come cristiani, giacché la storia del popolo ebraico ‘ in quello che per noi è l’Antico Testamento ‘ è anche la nostra storia. Se la nostra fede in Gesù ci divide dagli ebrei, proprio Gesù ci unisce indissolubilmente a loro, perché, nella logica dell’incarnazione, egli è il Dio che ha preso il volto di un ebreo, pienamente inserito nella storia di quel popolo, delle sue promesse, delle sue attese. I contrasti che, fin dall’inizio, con la condanna di Cristo, hanno segnato la storia dei rapporti tra cristiani ed ebrei non possono e non devono valicare i confini di un rispettoso dialogo tra fedi, e non devono mai degenerare in volontà di sopraffazione. Purtroppo, lungo la storia, tendenze antisemite si sono sviluppate sull’humus della cultura cristiana. È un fatto di cui prendere atto con quel senso penitenziale che la Chiesa del nostro tempo sente doveroso. Le splendide pagine della Lettera ai Romani, in cui l’apostolo Paolo, ebreo convertito, pur amareggiato per la resistenza dei suoi fratelli alla fede in Cristo, sottolinea l’irrevocabilità delle promesse fatte da Dio al suo popolo, devono esserci di guida. Bene fa l’opinione pubblica cristiana, e in particolare il Magistero della Chiesa, a prendere immediate distanze da chi, nel suo seno, ancora cedesse a sentimenti anti-ebraici che rischiano di fornire alibi e pretesti di rigurgiti ideologici mai abbastanza scongiurati. Assisi, grazie a Dio, per riconoscimento dello stesso mondo ebraico, si distinse, nell’ora buia della Shoà, per la sua accoglienza degli ebrei. Fu il pastore stesso della città, il vescovo Placido Nicolini, accompagnato da don Aldo Brunacci, da religiosi e religiose, laici illuminati a partire dallo stesso primo cittadino, Arnaldo Fortini, a scrivere una stupenda pagina di solidarietà.
La sofferta memoria della Shoà
Parola di vescovo
AUTORE:
' Domenico Sorrentino