Gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, Educare alla vita buona del Vangelo, “intendono offrire alcune linee di fondo per una crescita concorde delle Chiese in Italia nell’arte delicata e sublime dell’educazione”. In essa i Vescovi riconoscono una sfida culturale e un segno dei tempi, ma prima ancora una dimensione costitutiva e permanente della missione pastorale della Chiesa. L’opera educativa in favore delle giovani generazioni non è mai stata un’impresa facile, e tuttavia il clima culturale e l’atmosfera che si respira rendono ancor più difficile tale compito. Quella educativa da “esigenza” fondamentale è diventata, a poco a poco, “urgenza” primaria, anzi, vera e propria “emergenza”. “L’educazione – osserva Benedetto XVI – è un processo di Effatà, cioè di apertura degli orecchi, del nodo della lingua e anche degli occhi”. L’arte di educare è frutto di esperienza e competenza, ma si apprende soprattutto con la coerenza della vita e con il coinvolgimento personale. Educare è essere ciò che si vuole trasmettere, evitando le recite. Educare è imparare a parlare, sorvegliando la porta delle labbra. Educare è dar sapore e non addolcire, formando personalità solide, capaci di coniugare libertà e disciplina, solitudine e comunione. Educare è premunire più che preservare, accompagnare più che proteggere, aiutare a crescere senza bruciare le tappe. Educare è ascoltare e discernere, senza assecondare gli errori, fingere di non vederli o, peggio, condividerli. Educare è coniugare semplicità e prudenza, pazienza e audacia, fermezza e mitezza, esercitando l’autorità di dire dei “no” che abbiano la stessa dolcezza del “sì”. Il rapporto educativo, quale incontro di due libertà, è formazione al retto uso della libertà, la quale, se illuminata dalla verità, è un trampolino di lancio verso la carità, altrimenti diventa un piano inclinato per cadere in basso. L’educatore è, pertanto, un testimone della verità e del bene, un testimone fiducioso nell’opera della grazia. L’educatore è un maestro, un compagno di strada, un allenatore, un medico. L’educatore è un padre che non soffre di paternalismo; è un fratello che non rinvia a se stesso; è un amico che si coinvolge senza farsi travolgere. Davanti ad un certo smarrimento delle motivazioni, oltre che degli atteggiamenti, che stanno alla base della “sfida” educativa, occorre ritrovare il “baricentro” dell’esperienza formativa: la famiglia. Nell’orizzonte della comunità cristiana, la famiglia resta la prima e indispensabile comunità educante; “il suo compito educativo non può essere delegato né surrogato”. E tuttavia accanto alla famiglia, luogo in cui matura la prima sintesi relazionale, si colloca, da una parte, la scuola, e, dall’altra, l’oratorio parrocchiale, concepito non tanto come struttura ricreativa quanto come modello educativo. Se la scuola è il contesto nel quale allievi e docenti sono chiamati a scoprire il rapporto tra cultura e vita, l’oratorio parrocchiale si configura non solo come laboratorio della fede, ma anche come comunità educante dove si riceve una formazione umana integrale, che sviluppa competenze relazionali. Tenendo conto dei diversi soggetti che entrano in varia misura nei processi formativi come protagonisti, l’oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità cristiana, che ha sempre collegato con le “virtù teologali” anche le “virtù cardinali”.
La “sfida” educativa
Parola di vescovo
AUTORE:
Gualtiero Sigismondi