Inizia oggi il nuovo anno liturgico. In esso ripercorriamo in forma sacramentale le varie tappe della vita di Gesù, dall’incarnazione fino all’ascensione al cielo. Ricordiamo i suoi eventi e i suoi insegnamenti, guidati dalla Parola di Dio che leggiamo; celebriamo nel rito e nel canto la salvezza che ci ha portato, riviviamo con lui il suo mistero e lo rendiamo attuale nella Chiesa. Così edifichiamo ogni giorno il suo Corpo mistico, che cresce in sapienza e grazia come era cresciuto il Gesù storico. Nell’Avvento vengono richiamati i testi più significativi dell’Antico Testamento, specie quelli del profeta Isaia, che hanno preparato la prima venuta di Gesù per disporci meglio ad accoglierlo nel Natale.
L’Avvento ha una doppia caratteristica: è il tempo di preparazione al Natale, che ricorda la prima venuta di Gesù nella carne; è il tempo dell’attesa della sua seconda venuta nella gloria per completare la sua opera di salvezza. San Cirillo di Gerusalemme (382) nelle sue Catechesi diceva: “Noi annunciamo che Cristo verrà. La sua venuta non è unica, ve n’è una seconda, che sarà molto più gloriosa della prima”. La prima domenica di Avvento ci propone appunto questa seconda venuta di Gesù, che riguarda sia l’intera comunità umana, sia i singoli. Il brano evangelico oscilla tra queste due dimensioni, collettiva e individuale. È singolare che l’anno liturgico inizi con la visione della fine; è proprio il futuro che ci attende a donare significato al presente che viviamo. La fine dà senso all’inizio perché indica la direzione di marcia e lo scopo che ci muove. Nessuno sale su un treno senza sapere dove lo porterà.
Gesù ci trasmette il suo insegnamento in proposito con tre immagini significative, che sottolineano tre aspetti. Intendiamoci, non descrive l’evento della sua venuta così come si realizzerà nei dettagli. È per indicare il fatto certo che usa immagini prese dall’esperienza umana; queste restano però inadeguate e incomplete, perché per noi è inimmaginabile ciò che Dio ci ha preparato. Resta anche sconosciuto il tempo in cui Gesù realizzerà totalmente il suo piano di salvezza definitiva. La prima delle tre immagini è presa dalla storia di Noè, la seconda dalla vita feriale di uomini e donne, la terza dal ladro che agisce di notte per sorprendere e rubare. Tutte dicono che l’evento non è prevedibile e sarà del tutto inaspettato. “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo” (v. 37). Il racconto biblico del diluvio era già diventato il simbolo dell’allontanamento degli uomini da Dio e della loro autodistruzione.
Escludere Dio dalla vita è come scalzare le fondamenta della casa nella quale si abita, come tagliare il ramo dell’albero sul quale si è seduti. Le correnti ecologiste gridano da tempo che noi stiamo distruggendo la Terra su cui viviamo, perché la saccheggiamo e l’avveleniamo in maniera sconsiderata. La Parola di Dio ci dice che c’è un’altra strada più rapida per avvelenare e distruggere il mondo: il peccato dell’uomo, come al tempo di Noè, quando si viveva in maniera incosciente e malvagia, come se Dio non esistesse. Si pensava solo a soddisfare i propri bisogni materiali come mangiare, bere, prendere moglie e marito; nessuno si preoccupava d’altro, finché venne il diluvio e travolse tutti. Gesù non vuole minacciare nessuno, né tanto meno fare catastrofismo. Vuole solo insegnarci che il mondo e la società nelle quali viviamo non sono eterni. Prima o poi finiranno, ma noi ne possiamo accelerare la fine con i nostri comportamenti. Sarebbe da incoscienti non preoccuparsi di ciò che invece dura, e non prepararsi al mondo nuovo che ci attende.
La politica dello struzzo, tanto praticata dai nostri contemporanei, non giova a nessuno. Siccome “nessuno conosce il giorno e l’ora in cui Cristo verrà con grande potenza e gloria”(v. 27), tutti siamo invitati a tenerci pronti come servi laboriosi e vigilanti. I lettori di Matteo sparavano tanto che quel cambiamento del mondo venisse nel loro tempo e lo invocavano ardentemente, perché sentivano di vivere in un mondo ostile e violento che rendeva la loro vita cristiana sempre più difficile. Ma tenevano anche conto che Gesù non aveva rivelato nulla in proposito, dicendo di non saperne nulla né lui, né gli angeli, perché era un’iniziativa riservata esclusivamente al Padre (v. 36). La seconda immagine usata da Gesù descrive la sua venuta nella vita individuale di ciascuno: “Due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata” (vv. 40-41). Questa venuta può raggiungerci nel momento più impensato, ma sempre nella ferialità del nostro vivere quotidiano. I due uomini separati l’uno dall’altro stanno lavorando nello stesso campo, luogo ordinario della loro fatica. Forse sono due fratelli, ma hanno sorte diversa. Le due donne sono intente a macinare il grano nello stesso cortile di casa; quel grano deve servire a confezionare il pane per la famiglia. Pur abitando nella stessa casa, hanno trattamento diverso: una resta in vita, l’altra le muore accanto.
Con questa immagine Gesù ci vuol dire che la morte ci può sopraggiungere in qualsiasi momento, anche se in maniera diversa per ciascuno. La conclusione è chiara: Siate sempre pronti per la venuta del “Signore vostro”, e per l’incontro con lui, perché non sapete quando questo accadrà. Quella venuta può spezzare i legami più stretti che uniscono uomini e donne, e separare i membri della stessa famiglia. Nessun legame è così stabile da arrestare la morte. La terza immagine sottolinea l’incertezza del tempo della venuta del Signore con la figura del ladro che viene di notte quando meno te l’aspetti. La realtà della notte è legata al mestiere dei ladri di appartamenti, che in genere agiscono nelle ore piccole, quando i proprietari dormono. Ma la stessa immagine può far riferimento alla tradizione giudaica, riferita dal Talmud, che poneva la venuta della salvezza in quattro celebri notti: la prima fu quella della creazione, nella quale Dio creò la luce (Gn 1,3); la seconda fu la notte in cui Dio stipulò l’alleanza con Abramo e gli donò il figlio Isacco (Gn 15,17s); la terza fu la notte dell’esodo, la Pasqua, quando Dio liberò il suo popolo dalla schiavitù (Es 12,23-27); la quarta notte sarà la notte di Pasqua quando Dio manderà il suo Messia.
Con questo riferimento implicito alla salvezza, l’immagine del ladro perde molta della drammaticità che fa paura. La venuta del Signore, anche se imprevedibile come quella del ladro, sarà per il credente l’incontro gioioso con il Dio-amore, con il Padre che gli ha preparato già un posto nella sua casa. Gesù esorta a vigilare con amore nell’attesa, non ad aver paura della sua venuta. L’anno liturgico che oggi inizia dona alla nostra vita cristiana un’impronta di responsabilità, ma anche di attesa gioiosa, come quella che ci prepara al Natale.