La scandalosa gioia di Dio nel perdonare

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia XXIV Domenica del tempo ordinario - anno C

Dopo le severe esigenze della sequela di Cristo descritte nel Vangelo di domenica scorsa, ci viene presentato oggi il rovescio della medaglia: la straordinaria e paradossale misericordia di Dio, che cerca e attende, con amore ostinato e insonne, ognuno di noi quando si smarrisce. Sono tre parabole poste in successione crescente: la prima ha per protagonista un pastore che ricerca la sua pecora perduta, la seconda ha come soggetto una donna che cerca un gioiello smarrito, la terza un padre che accoglie in festa un figlio che credeva perduto.

I tre racconti fanno parte di un contesto più ampio che gli studiosi chiamano “il Vangelo degli emarginati” (cap. 15-18), perché descrive la cura e l’attenzione di Gesù per i più bisognosi agli occhi di Dio. Faceva scandalo che Gesù accogliesse con amicizia coloro che venivano etichettati come peccatori, e quindi appestati spirituali da fuggire. Con le nostre tre parabole Gesù intende rispondere all’obiezione dei farisei e degli scribi, scandalizzati dal suo comportamento anomalo. Vuole far capire che si comporta così perché Dio è così: non è un padrone severo e fiscale che scaccia chi non si comporta bene, Dio è un padre pazzo di amore per i suoi figli, specie per coloro che hanno più bisogno di cure, di attenzione, perché smarriti e feriti nel cuore.

Nessuno per lui è perduto irrimediabilmente, tutti sono recuperabili. Dio non scarta i rottami e non crea rifiuti da gettare in discarica. La prima parabola è quella di un pastore che cerca affannosamente una sua pecorella che si è smarrita. Gesù la introduce con una domanda rivolta direttamente ai contadini e ai pastori di Galilea che lo stanno ad ascoltare, e che sanno quanto vale per loro un animale. Quando la sera il pastore rinchiude le sue pecore nell’ovile per mungerle, ha un tuffo al cuore: ne manca una! Dove si sarà cacciata? Domanda ai vicini e colleghi se mai l’avessero vista in giro, poi, prima che faccia buio la va a cercare affannosamente “finché non la ritrova”. A questo punto è sopraffatto dalla gioia, se la carica in spalla e fa sapere a tutti che ha rintracciato il suo animale per lui tanto prezioso. Per Dio Padre ogni persona è preziosa come fosse unica, perderla è come perdere tutto, recuperarla è come riavere tutto. È la logica del vero amore. Quella del pastore appare a noi come una festa esagerata e sproporzionata, ma chi ama non conosce proporzioni ridotte. Dio è così, pensarlo diversamente è idolatria. La seconda parabola mette in scena una donna: Gesù vuole descrivere in Dio tutte le sfumature dell’amore, maschile e femminile.

La donna ha perduto casualmente un gioiello prezioso: una moneta d’argento della sua collana, di grande valore affettivo perché tramandata da nonna a nipote per più generazioni come ben familiare. Comunica spontaneamente la sua pena alle vicine e inizia a spazzare la casa e a rimuovere i pochi mobili che ha, finché la sua moneta non salta fuori da qualche piega del pavimento sconnesso. Allora grida e salta di gioia invitando le amiche a fare festa con lei. Gesù non si vergogna di presentare la gioia di Dio con la danza di festa tipica delle donne, tanto la felicità del Padre che lui conosce è incontenibile. Tanto che la conclusione dei due racconti risulta scioccante e scandalosa agli orecchi dei farisei, ma forse anche per noi, che non riusciamo ad immaginare un Dio così: “ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”. È proprio così che avviene sul piano dei sentimenti e delle emozioni. Ogni padre e madre sono sopraffatti da un gioia incontenibile e intensa per il recupero improvviso e inaspettato di un figlio, una gioia più forte e più intensa di quella del vivere insieme ogni giorno normale. La terza parabola racconta la storia di un padre con due figli.

Un giorno il più giovane chiede al padre di aiutarlo ad emigrare all’estero per farsi un avvenire. Secondo la legislazione del tempo, il figlio maggiore ereditava due terzi dei beni paterni, il minore raccoglieva appena le briciole ed era costretto a vivere in casa alle dipendenze del fratello. Molti si trovavano in questa condizione nella Palestina del tempo di Gesù ed erano costretti ad emigrare per costruirsi una fortuna propria. La richiesta del figlio minore era del tutto normale, perciò il padre non gli nega il suo diritto legittimo. Il figlio parte per l’estero, forse con lettere di raccomandazione ai numerosi giudei che vivevano allora nella diaspora (si calcola che fossero più di 5 milioni) e obbligati per solidarietà ad aiutare, ieri come oggi, ogni loro connazionale. L’inesperienza, la novità dell’ambiente cittadino, la voglia di divertirsi giocano un brutto tiro al ragazzo, che sperpera in breve tempo la somma che doveva servire per avviare una piccola azienda. Cade in miseria e, invece di chiedere aiuto ai connazionali, cerca lavoro presso un pagano che lo invia nei campi a pascolare i porci. Per un ebreo questo è il sommo degrado morale, perché i porci sono considerati animali immondi. Dall’estrema umiliazione inizia il riscatto.

È il momento culminante della parabola, che descrive qui il pentimento, la nostalgia della casa paterna, il ritorno del giovane figlio. Dall’altra parte ci rivela la gamma dei sentimenti di un padre pronto all’accoglienza: la corsa, poco confacente ad un vecchio, per andare incontro al figlio il più presto possibile; l’abbraccio prolungato che soffoca le scuse del figlio; i comandi concitati ai servi per restituire al figlio tutta la sua dignità e preparare la festa, che rassomiglia ad un banchetto di nozze. Una cosa inaudita, che indigna il fratello maggiore, il quale si rivolta per questo contro suo padre. Non sa spiegarsi, né può accettare, tanta generosa accoglienza per un figlio fallito che torna a casa per disperazione. Il padre deve uscire ancora una volta incontro a questo suo figlio indignato, che gli sputa in faccia tutto il suo scontento e tutta la sua delusione.

È il portavoce di quei scribi e farisei che criticano il comportamento di Gesù e non sanno capire e accettare il suo comportamento tanto benevolo e accogliente nei confronti dei peccatori. La parabola non dice se il padre, uscito di casa incontro al figlio maggiore, sia riuscito a convincerlo a prendere parte alla festa. Gesù lascia volutamente sospeso il racconto, per chiedere a tutti noi da che parte stiamo. Accettiamo il Dio che lui ci ha rivelato, o ci teniamo il nostro idolo costruito su misura delle nostre idee e delle nostre passioni? Il Dio Padre rivelato da Gesù con le parole e il comportamento è così, non lo possiamo modificare noi. Lo accettiamo o lo rifiutiamo, non c’è via di mezzo.

AUTORE: Oscar Battaglia