Social network, pc, tablet, videogiochi e telefonini per bambini e adolescenti, i cosiddetti “nativi digitali”, sono come l’acqua per i pesci. L’elemento naturale nel quale e con il quale costruiscono le loro relazioni sociali, acquisiscono conoscenze e informazioni, giocano e vivono emozioni. Come tutte le tecnologie, dalla ruota all’energia nucleare, è il loro cattivo uso o abuso a determinare rischi e pericoli.
“Però, come non si può levare l’acqua ai pesci, è impensabile sottrarre internet e la Rete ai nostri figli” ha detto Alvaro Paolacci, medico psichiatra, nel corso di uno dei tre incontri di formazione per insegnanti, genitori, educatori e studenti promossi a Santa Maria degli Angeli dalla Commissione regionale per l’educazione (Cresu) della Conferenza episcopale umbra per preparare il mondo della scuola al prossimo Convegno ecclesiale di Firenze.
È quindi compito degli educatori, in particolare scuola e famiglie, accompagnare bambini e adolescenti all’uso corretto di questi strumenti, i quali – come droga e alcol – possono portare a una vera e propria dipendenza, difficile da curare, e che quindi bisogna prevenire.
Gli adulti però non sempre hanno la consapevolezza dei rischi che comporta l’uso distorto di tablet, pc e telefonini. Una mancata consapevolezza dovuta anche a scarse conoscenze pratiche di queste tecnologie.
Strumenti per educatori
Scopo dell’incontro, svoltosi venerdì scorso, era proprio quello di sensibilizzare e aiutare genitori, insegnanti e educatori ad affrontare questi problemi. Il tema affidato al relatore Alvaro Paolacci, docente universitario e esperto del Tribunale ecclesiastico regionale, era “Homo ludens e ludopatia”.
I lavori, coordinati dalla prof.ssa Annarita Caponera, coordinatrice della Cresu, sono stati aperti dal vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino. “Dio – ha detto – è amore e gioia, e nel gioco ci sono emozione, levità e bellezza. Tutti, grandi e piccini, hanno bisogno del gioco, ma si deve imparare a giocare bene e per il bene”.
Il gioco – ha spiegato il dott. Paolacci – è presente da sempre in qualsiasi società, e “non è né virtù, né peccato”. È un’attività che nei bambini aiuta a sviluppare le qualità fisiche e intellettuali. Il problema è che adesso, anche per giocare, si usano strumenti tecnologici che ipnotizzano, proiettano in un mondo virtuale dove tutto è facile e possibile, e dal quale c’è chi non vuole uscire per tornare nel mondo reale, arrivando a confondere il virtuale della Rete con la realtà. Così, con un uso non corretto di questi mezzi si arriva alla condizione patologica della dipendenza.
Genitori assenti
La ludopatia è una di queste dipendenze, di cui soffrono sempre di più persone di tutte le età (compresi i bambini) e di tutte le condizioni sociali. È una malattia che rende dipendenti non solo dal gioco d’azzardo ma anche da giochi e videogiochi in cui non si vince denaro. Videogiochi regalati ai figli che così passano ore da soli davanti allo schermo dei tablet. Senza disturbare gli adulti che hanno altre cose da fare.
“Da bambini si giocava insieme in piazza – ha ricordato Paolacci – ma ogni tanto c’era una mamma che si affacciava da casa a controllare. Se qualcosa non andava, ci sgridava e ci faceva rientrare”.
Non è però solo un problema di videogiochi. Internet e la Rete, per i bambini, talvolta sostituiscono genitori troppo indaffarati e assenti. E così – ha detto il relatore – “la connessione prende il posto delle relazioni con le persone. Internet diventa l’altro, che risponde sempre, 24 ore al giorno”.
Come sta avvenendo in Giappone con il fenomeno degli hikikomori, giovani che si chiudono in camera con il loro videogiochi, rifiutando qualsiasi contatto con altre persone. I pasti vengono lasciati dai familiari davanti alla porta chiusa a chiave.
Bambini e adolescenti invece hanno bisogno del dialogo e di regole. Gli adulti – ha detto lo psichiatra – devono “creare un controambiente” al mondo virtuale di internet, pur “senza tirare fuori ‘i pesci dall’acqua’, perché questo porterebbe allo scontro e all’ostilità”. Devono offrire alternative a tablet e pc, e stare con i figli quando li usano, magari navigando insieme. Devono però anche porre regole sul loro uso, a cominciare dal tempo. Soprattutto, devono saper dire “no”, e non solo per internet.
“Viviamo in una società – ha detto – in cui porre regole viene fatto equivalere a impedire la libertà. Bambini e ragazzi hanno invece bisogno di educatori che sappiano mettere un confine al loro desiderio di spingersi sempre oltre. Per il loro bene: perché, se abituati a ricevere sempre un ‘sì’, quando nella vita inevitabilmente si troveranno di fronte a un ‘no’, potrebbero crollare”.
Cime tempestose
Paolacci ha poi suggerito consigli pratici ad alcuni insegnanti che hanno parlato delle difficoltà del lavoro quotidiano con ragazzi, sempre connessi a costosi telefonini, e con genitori che talvolta protestano quando i professori li fanno spegnere per un compito in classe. “Come educatori – ha detto Annarita Caponera – ogni giorno ci troviamo di fronte a una grande montagna da scalare”.
Una montagna con una vetta sempre lontana – hanno detto altri docenti – per le difficoltà di un aggiornamento professionale su questi temi, e di circolari e programmi ministeriali discutibili. “È impensabile – ha risposto il relatore – escludere il computer dalle scuole e dalla didattica, così come dalla vita quotidiana dei nostri figli e nipoti. Il problema è invece l’uso che ne facciamo a scuola e in casa, e non si risolve certo spegnendolo, ma accendendo il dialogo”.
Prossimo incontro
Venerdì 27 marzo, alle ore 16.30, si tiene il terzo incontro promosso dalla Cresu. Interverrà mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei sul tema “Umano – disumano – postumano. Quale umanesimo per il nostro tempo?”