L’immagine dell’olio è molto conosciuta nella Bibbia ebraica. L’olio viene usato dai patriarchi per ungere le pietre che segnalano la misteriosa presenza di Dio (Gen 28,18; 35,14), ed è necessario per le lampade che servono per al culto: nel libro dell’Esodo si dice che l’olio deve tenere viva la fiamma che arde nel tabernacolo, quella fiamma che “sta davanti alla Testimonianza, perché dalla sera alla mattina essa sia davanti al Signore” (Es 27,21). È l’olio usato per ungere il capo del sacerdote, quale è Aronne, che porta le offerte a Dio (Es 29,7); serve anche per ungere gli oggetti come la tenda del convegno e l’arca dell’alleanza, il candelabro e gli altari (Es 30,26-27), necessari per ricevere le offerte, e, ovviamente, anche le offerte stesse, prima che queste siano presentate al Signore (Lv 2,1).
È l’olio col quale viene unto il primo re d’Israele, Saul (1 Sam 10,1), e il suo successore, il santo re Davide (1 Sam 16,13ss.). Nella letteratura sapienziale è segno dell’abbondanza e della gioia, della forza e della ricchezza (Sal 91,11: “Tu mi doni la forza di un bufalo, mi cospargi di olio splendente”), ma soprattutto – mi pare – l’olio è segno di qualcosa che va acquistato a caro prezzo, con la fatica quotidiana e la laboriosità. Molto significativo a questo riguardo è un brano dall’ultimo capitolo dei Proverbi, quello sulla donna forte che è difficile da trovare, e che è più preziosa delle perle (Pr 31,10-31). Il v. 18 di quest’inno dice che tale donna “è soddisfatta, perché il suo traffico va bene, neppure di notte si spegne la sua lampada”. Ciò è possibile perché, come spiega il testo sacro, questa donna si alza di buon mattino e va a dormire a sera tardi, pensa al bene del marito e dei figli, e anche a quello dei poveri, compra i beni più preziosi quali tappeti, porpora e campi, e li conserva con parsimonia.
Questa donna, secondo alcuni studiosi, non è una semplice creatura, ma è piuttosto il simbolo della sapienza. L’olio che viene conservato nella sua lampada, quindi, è come il concentrato di questa capacità sapienziale di gestire la vita. È una realtà che non si fabbrica e nemmeno si trova per strada, magari all’angolo, dov’è seduto il primo ambulante, ma che va ricercata con pazienza e tenacia, nel posto giusto, e al tempo opportuno: “Andate piuttosto dai venditori e compratevene”, dicono le vergini sagge (Mt 25,9). Le vergini stolte della parabola pensano di trovare subito l’olio che manca loro, ma non è così; ci mettono infatti molto tempo, e quando tornano, troppo tardi, le nozze sono già iniziate. Ecco perché la nostra parabola è centrata sul tema della vigilanza. Esclusivamente matteana, segue, insieme alle altre due conservate in Mt 24,45-25,30, l’invito a vegliare (Mt 24,42), invito che ritorna proprio alla fine del vangelo odierno. Tutte e tre le parabole sono basate su un presupposto: il ritardo della venuta del Signore, cioè della parusia.
Le comunità delle origini (rappresentate dall’intero gruppo delle dieci vergini), avevano quasi sicuramente l’idea che il ritorno del Signore fosse imminente, ma ogni giorno che passava sembrava negare l’attesa e la speranza. Ecco che diviene necessaria la virtù della prudenza, che consiste “nel mettere in gioco la possibilità di una lunga attesa, senza venir meno alla fedeltà al proprio compito” (Mello). L’incontro col Signore che tornerà è sicuramente un incontro gioioso, perché è simboleggiato dalle nozze col Messia (rappresentato, nella parabola, dallo sposo), ma richiede preparazione e costanza, equipaggiamento e intelligenza; prudenza significa non lasciarsi scappare le opportunità per prepararsi. È inevitabile perdersi nell’attesa, cioè “addormentarsi”, come fanno – si noti bene – tutte e dieci le vergini: quello che conta non è cadere assopiti per la fatica, è essersi preparati all’incontro.
La nostra società sembra aver perso il senso della preparazione e dell’attesa, e non solo per l’incontro col Figlio dell’Uomo. Molte cose vengono conseguite in fretta e senza sforzo. Ora abbiamo anche le lauree brevi per poter entrare prima nel mondo del lavoro, e diventare appena possibile bravi consumatori. La cultura al tempo di Gesù era quella in cui il legno andava fatto stagionare per anni per poter essere usato, dove i vestiti andavano tessuti a mano, dove i polli razzolavano nell’aia e le mucche non venivano ingrassate con mangimi strani che le fanno diventare pazze. Ora non è più così, ma la parabola di oggi ci dice, comunque e in ogni caso, che per vivere dobbiamo conservare con fatica la nostra razione quotidiana di olio, e non ce ne possiamo dimenticare mai. Ancora di più: a questa razione ci possiamo pensare solo noi, e non possiamo delegare nessuno: “la risposta delle vergini prudenti (‘No, che non abbia a mancare per noi e per voi’) ce le può fare apparire antipatiche, ma è un modo per dire che, nel giudizio finale, nessuno è più in grado di fare qualcosa per un altro: ognuno deve rispondere di sé” (Mello). Dio ci doni la Sapienza, quella che siede accanto a Lui in trono, perché ci assista nell’attesa quotidiana, e nella nostra fatica di ogni giorno (Sap 9,1-10).