Quaresima: sembra un termine fuori moda. Penitenza: parola di altri tempi. Preghiera, sacrificio: si dice ancora? Valeva per la Chiesa di ieri; oggi la gente vuole vivere, vuole essere felice. Tuttavia, “la quaresima” esiste ancora. È pane quotidiano di molti: il digiuno forzato di tanti africani, dell’emigrato che non trova casa e lavoro, del disoccupato che non sa come provvedere alla sua famiglia. Anche la penitenza esiste: per esempio, quella dei prigionieri nelle carceri sovraffollate. E la preghiera ritorna: torna attuale con le varie forme di meditazione orientale. Ma perché cercare altrove ciò che ci propone l’autentica tradizione cristiana, la preghiera sobria dei Latini e la liturgia solenne degli Orientali? Uomini e donne si rinchiudono tra quattro mura per sempre, per essere liberi. E anche nella vita quotidiana tanti uomini e donne rifiutano di sacrificare agli idoli: all’immagine, al danaro, al sesso, al potere. Digiunano senza costrizione alcuna, fanno penitenza. Masochisti? No, vogliono imparare la libertà. Alcuni affrontano grandi sacrifici “per una corona corruttibile” (cf 1 Cor 9,25), per la “piena forma”, per il body-building! E si pensa che ciò sia ammirevole. Ma non è la Quaresima. Altri lo fanno per qualcosa di essenziale. La Quaresima è questo: un tempo per re-imparare la libertà, per re-imparare ad amare. “La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,26). Ci si allontana dal superfluo, dalla tavola, dalle comodità, dal danaro. Si condivide con quelli che digiunano tutto l’anno. Si dedica tempo ed attenzione all’essenziale, all’Essenziale, a Colui che osa dire: “Io sono il pane di vita. Io sono la luce del mondo” (cf Gv 6,48; 8,12). E nel deserto, paradossalmente, si scopre una fonte di acqua viva. La peregrinazione “quaresimale” nel deserto mette alla prova la fedeltà all’Alleanza e sonda la capacità effettiva di volgersi verso Dio, fissando il proprio cuore in lui (cf 1 Sam 7,3) e abbandonando gli idoli, emblemi dell’autoesaltazione di un cuore indurito e malvagio. Anche Gesù si è ritirato nel deserto. Vi ha digiunato per quaranta giorni. Ha lottato con il Maligno. Nel deserto ha iniziato la battaglia decisiva che si concluderà solo con il trionfo della Croce (cf Lc 4, 1-12). La tentazione di Gesù insegna che la tentazione è una condizione propria ed inalienabile della vita umana e della Chiesa; solo vincendola come Lui l’ha vinta, uniformandosi alla volontà del Padre e servendola fino all’offerta eucaristica di sé, si entra nel cuore del mistero pasquale, datore di una vita incorruttibile, immortale, divina: “Se Cristo non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere quando sei tentato” (S. Agostino, En. In ps. 60,3). Spesso Gesù si è appartato da solo, sulla montagna, per pregare. Lungamente. Il discepolo non è più grande del maestro, deve percorrere la medesima strada. Se vogliamo vivere la Pasqua con Lui, dobbiamo anche seguirlo nel deserto, dobbiamo sciogliere le nostre catene abituali. Pregare, condividere, riconciliarci con gli altri, con noi stessi, con Dio. Nel deserto ritroviamo la libertà e la gioia, la vita e l’amore, insieme, come comunità dei credenti, come Chiesa. Questo è Quaresima. E non è triste; non è un lusso. È una necessità. Vitale. “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!” (2 Cor 6,2).* arcivescovo di Spoleto – Norcia
La quaresima per l’oggi
Parola di vescovo
AUTORE:
Renato Boccardo