La potenza della parola

Commento alla Lettura della Domenica

AltareBibbia“Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge e la osservi con tutto il cuore” (Sal 118,34): è ciò che chiede l’autore del Salmo responsoriale, il 118/119, il più lungo di tutti, stilato in forma di acrostico e quindi composto di 22 strofe, quante sono le lettere dell’alfabeto ebraico con cui hanno inizio gli 8 versetti di ciascuna strofa. Già questi elementi tecnici ci predispongono al messaggio del Salmo, che è appunto quello del valore primario della Parola attraverso la quale Dio comunica agli uomini ed elargisce “intelligenza e sapienza a chi la custodisce e la osserva con tutto il cuore”. La sapienza che ha tale provenienza è grande, afferma il Siracide. L’apostolo Paolo precisa poi che essa non è di questo mondo “né dei dominatori di questo mondo”, e che Dio “l’ha stabilita prima dei secoli per la nostra gloria”. Gesù ci dà a proposito delle indicazioni su come ricercare e vivere questo tipo di sapienza, proprio riprendendo i criteri principali della Legge. Propone infatti sei questioni ai suoi uditori, introdotte dalla provocazione “avete sentito che fu detto” e continuate con l’espressione “ma io vi dico”. La prima questione (delle quattro riportate nel brano evangelico di questa domenica) è quella dell’omicidio e del rapporto con gli altri. Nell’Antico Testamento l’omicidio volontario era punito con la pena capitale, ma qui Gesù non si riferisce tanto alla morte inferta al corpo, quanto all’uccisione del cuore di una persona attraverso un linguaggio calunnioso e offensivo. Parole rispettose e veritiere devono caratterizzare i rapporti tra fratelli. Si pensi che nella comunità di Qumran, esistita tra il III a.C. e il 68 d.C. – quindi anche al tempo di Gesù – chi si macchiava del peccato di maldicenza veniva espulso e non tornava più (Regola della comunità 8,15-16). Non a caso, il rapporto tra fratelli basato su una onesta reciprocità è la prima questione che Gesù affronta. Segue poi la questione dell’adulterio, che Gesù in questo brano di Matteo risolve non tanto da un punto di vista ‘legale’, quanto piuttosto ‘teologico-spirituale’, perché ancora prima dell’atto sessuale del tradimento del coniuge, c’è il desiderio. Il cuore è la sede dei sentimenti buoni e cattivi. Un desiderio contrario alla Legge va corretto prima che si trasformi in concretezza. Afferma infatti un brano midrashico: nel cuore c’è “l’intenzione di commettere un peccato, ma la persona non l’ha ancora compiuto. Questo ci insegna che quando si prende in considerazione un peccato, è come se, davanti a Dio, fosse stato commesso” (Midrash HaGadol Bamidbar 8,5).

 

Il caso del divorzio, Gesù lo affronta mettendosi dalla parte della donna ripudiata che va incontro – come lascia intendere il testo – a incomprensioni e malignità (si pensi a Giuseppe che non voleva esporre allo scherno Maria, Mt 1,19). La quarta questione è quella del giuramento del falso, su cui Matteo torna più volte (12,33-37; 23,16-22) e che risponde anche a un’esigenza delle relazioni umane del tempo di Gesù, sovente basate su discussioni prolisse e contraddittorie ‘farcite’ del nome di Dio per aggiungervi autorevolezza. Gesù è decisamente severo, e intima di misurare le parole e di non fare giuramenti, ma di essere chiari e concisi: “Sia il vostro linguaggio: sì sì, no no”. E senza mettere di mezzo Dio, ognuno deve essere credibile sulla sua parola e sulla sua testimonianza di vita. Colpisce il fatto che, su quattro questioni (le altre due le ascolteremo domenica prossima), ben due riguardino il parlare; a una lettura attenta, notiamo anche che sono affrontate con una certa urgenza e drasticità. Il termine ebraico biblico dabàr si traduce con “parola” ma anche con “opera”, quindi si percepisce tutta la solennità del suo significato. Forse anche in virtù di questo, in tanti altri brani neotestamentari è ripresa la problematica del “parlare”, vista come un grande ostacolo al sereno andamento delle prime comunità. Nella Lettera di Giacomo (3,5) è scritto: “La lingua è un membro minuscolo, ma può vantare imprese straordinarie. Ecco quanto piccolo è il fuoco e quanto grande è la foresta che esso incendia!”. Come duemila anni fa, ancor oggi questo problema lacera le comunità cristiane. Papa Francesco a proposito è tornato molte volte definendo “serpente” chi colpisce con il veleno della calunnia (16.02.2014), “malato” di gelosia e invidia chi uccide con le parole (21.01.2016), “terrorista” chi sparla (01.02.2016), “spennatore” chi distrugge una comunità parlando dietro le spalle (15.01.2017). Sperimentiamo ogni giorno nelle nostre relazioni quanto influenza esercitino sulla nostra e altrui interiorità le conversazioni, perché “con le parole un uomo può rendere felice l’altro o spingerlo alla disperazione” (Freud, Introduzione alla psicanalisi). Domandiamoci dunque: come è il nostro parlare? Siamo in grado di esprimerci secondo la Sapienza che viene dall’alto? Se non riusciamo a dir bene dell’altro, ce la facciamo almeno a dominare la lingua? Facciamo in modo di non dover rimpiangere delle parole belle che potremmo dire, e rischieremo per orgoglio di non dire? Prima che termini questo giorno, ce la facciamo a dire: “Ti voglio bene, Gesù” o “ti voglio bene…” ognuno aggiunga i nomi delle persone che attendono una bella e sapiente parola!

 

AUTORE: Giuseppina Bruscolotti