Il 19 maggio 2010, festa di san Pietro Celestino (papa Celestino V), “L’Osservatore Romano” ha pubblicato una poesia a lui dedicata da Gioacchino Pecci, vescovo di Perugia dal 1846 al 1878 e poi papa Leone XIII. Un arco tra due papi e due celebrazioni centenarie: a Carpineto Romano i duecento anni dalla nascita di Pecci, con iniziative culturali cui è intervenuto mons. Giuseppe Chiaretti arcivescovo emerito di Perugia; nelle diocesi molisane e abruzzesi il sesto centenario celestiniano, con un “anno giubilare” voluto da mons. Angelo Spina, vescovo di Sulmona, nel cui territorio trascorse gran parte della vita eremitica il pontefice eletto a Perugia nel 1294, canonizzato da Clemente V nel 1313 ma stigmatizzato dal dantesco “gran rifiuto” – anche se non è del tutto certo che la Commedia si riferisse a lui. Per le sfaccettature non convenzionali della sua figura e della sua vicenda, san Pietro Celestino ha offerto spazio alla fantasia di poeti e narratori: da Jacopone a Petrarca, da Silone alla narrativa contemporanea. Leone XIII lo “rilesse” con inattesa prossimità in due distici latini riscoperti a Sulmona dal classicista Ilio Di Iorio, nell’antologia di Ugo Enrico Paoli Prose e poesie latine di scrittori italiani (Firenze, Felice Le Monnier, 1926). Paolo Vian, direttore del Dipartimento Manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, ha rinvenuto l’edizione a stampa del componimento originale, De S. Petro Caelestino V Pont. Max.: “Ponere tergeminam festinas, Petre, coronam, / Tota ardens uni mente vacare Deo. // O te felicem! spernis mortalia regna / Caelicolum largo fenore regna tenes” (Carmina et Inscriptiones cum accessionibus novissimis, Udine, Patronato, 1893). Vian ha scoperto anche una versione italiana curata da Adolfo Severi, allora parroco di Cenerente, poi canonico della Cattedrale di Perugia, intitolata Di s. Celestino quinto: “Oh! qual pensier magnanimo / Il tuo voler si sprona / Dalla tua testa a togliere / La triplice corona? / Tal ti stringe desio / Di viver solo a Dio! // Dai regni, che si volgono / Collo sparir degli anni / A quei, che mai non passano / Tu dirigesti i vanni; / Felice chi non cura / Splendor, che poco dura!” (Le poesie di Leone XIII volgarizzate da d. Adolfo Severi, Perugia, Tip. V. Santucci, 1903). Nell’inquadrare i due componimenti, è stata messa in luce la feconda vena poetica di Pecci e, soprattutto, la sua funzionalità alla riforma del Seminario perugino, narrata da mons. Geremia Brunelli nel Medagliere di Leone XIII. Attraverso il potenziamento degli studi e della pratica letteraria, Pecci, anche grazie alla sua esperienza europea, mirava alla formazione di un clero culturalmente solido e preparato al confronto con la modernità. Confronto che lo stesso Pecci sosteneva in vari ambiti – poesie quali Ars photographica afferiscono alla stessa vena della Rerum novarum. Ecco perché la sua rilettura di Celestino V attesta di entrambi la presenza e attiva partecipazione della Chiesa alla storia dell’uomo, senza contraddizione, anzi in perfetta sintonia, con il desiderio “di viver solo a Dio”.
La poesia di Leone XIII dedicata a Celestino V
Dei due Papi cadono nel 2010 importanti ricorrenze
AUTORE:
Isabella Farinelli