Nel periodo quaresimale in molte chiese parrocchiali e religiose si pratica il rito della Via crucis. Tutti hanno davanti agli occhi la grande manifestazione di fede e pietà che si svolge il Venerdì santo al Colosseo di Roma, presieduta dal Papa. Sono anche stati pubblicati i testi che sono stati letti in quella occasione negli anni passati. Uno di questi testi, poi diventato famoso, è quello del card. Joseph Ratzinger per il Venerdì santo del 2005, in cui chiese perdono pubblicamente per la “sporcizia” presente nella Chiesa, nel commentare la terza caduta della nona stazione. Alle celebrazioni affollate e solenni come questa, che si ripetono in modo analogo in tutte le parti del mondo, si devono aggiungere quelle più silenziose e discrete che avvengono in piccole cappelle, e persino in camere di singole persone che intendono contemplare la passione di Cristo nel segreto. In Umbria questa pratica è molto diffusa. Una tra queste, piuttosto caratteristica, già dall’anno scorso è quella degli studenti universitari di Perugia che ogni martedì di Quaresima partono dalla cappella universitaria alle 20 e si recano in cammino penitenziale alla chiesa del loro patrono sant’Ercolano, dove fanno l’adorazione della croce e concludono con una cena quaresimale a pane e acqua. Qualche cenno di storiaFurono i francescani nel secolo XVII i primi a diffondere in Occidente, incominciando dalla Spagna, l’esercizio della Via crucis, o Cammino della croce, nella forma attuale delle 14 stazioni. Prima di allora ci sono testimonianze di pellegrini che raccontavano di aver ripetuto a Gerusalemme la via percorsa da Cristo il Venerdì santo, quando carico della croce fu condotto dal pretorio di Pilato al Calvario per esservi crocifisso. Ad ogni luogo che ricordava un episodio della Passione i pellegrini facevano le loro “stazioni”, ossia (secondo l’antico linguaggio della Chiesa) si fermavano a meditare, riportandosi con lo spirito a quei tempi. I francescani “ricostruirono” la Via crucis in tutte le loro chiese, venendo incontro ai fedeli impossibilitati a recarsi in Terra Santa. Sorse contemporaneamente l’esigenza di raffigurare in “quadri” gli episodi della Passione, opera che nel corso dei secoli ha visto il contributo di numerosi artisti. Non sempre le stazioni sono state 14, vi sono tracce di Via crucis di 7, 12, 13 e anche 18 stazioni, come prevedeva ad esempio uno dei primi libretti di meditazioni “ad hoc”, autore il gesuita Adriano Parvilliers. In Italia la Via crucis fu introdotta dal francescano di origine sarda Salvatore Vitali; il primo convento che la eresse fu quello di Monte S. Miniato in Firenze, nel 1630. La rapida diffusione del pio esercizio fu dovuta alla predicazione di san Leonardo da Porto Maurizio (che tra l’altro pronunciò nel 1750 il discorso di inaugurazione della Via crucis al Colosseo) e di san Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti. Concorsero anche le numerose indulgenze concesse via via dai pontefici Innocenzo XI e XII, Benedetto XIII e XIV, Pio IX. Significativa la definizione di Via crucis nelle parole di Romano Guardini, l’illustre filosofo e teologo (1885-1968) che scrisse anche di liturgia facendone scoprire la bellezza e i significati (I santi segni): “Devozione di pretta indole popolare, che riunisce immagine e pensiero, azione esterna e attenzione interna, verità storica e creazione di fede. Più d’ogni altra si presta a penetrare la passione del Signore, nella maniera insieme rispettosa e confidente, spontanea eppur disciplinata, propria dell’animo popolare”. Secondo Guardini, due sono le cose che ha da dirci il “Cammino della croce”: la prima è “insegnarci a sentire nel nostro essere ciò che ha sofferto il Signore: a camminare con lui, a sopportare con lui. Allora ci si svela dinanzi la grandezza della nostra colpa. Allora impariamo a pentirci e a desiderare la grazia di una interna, profonda conversione”. La seconda è che “la Via crucis è la scuola del vincere sé stessi. Vediamo il Signore attraversare la più amara sofferenza d’anima e di corpo, ma superarla per mezzo dell’amore verso il Padre e verso di noi. Impariamo a far così anche con la nostra sorte”.