Con la prima domenica di Avvento, ha inizio – come molti sanno – l’anno liturgico, ossia il ciclo delle celebrazioni liturgiche che, ripercorrendo i misteri della fede cristiana, permette ai credenti di partecipare alla vita di Dio. Il termine Avvento ha a che fare con il verbo venire, dunque equivale, più o meno, a venuta: la venuta di Dio incontro all’uomo. Il Dio cui i cristiani credono non è un Dio statico, ma un Dio che viene. Nella Bibbia la venuta è espressa con un termine greco: parusìa. Ai cristiani delle prime generazioni questo termine richiamava la venuta del re o dell’imperatore di Roma nella propria città; venuta collegata a una festa gioiosa, perché il re era in genere accompagnato da doni al popolo che lo acclamava, spesso da distribuzione di denaro, da giochi popolari… Cosa che portava a tutti appunto grande gioia.
Utilizzando la parola parusìa riferita a Gesù Cristo, implicitamente i cristiani lo acclamavano Re e ne gioivano, esultando per la sua presenza nell’assemblea litugica. Forse senza saperlo, anche noi lo facciamo, quando al culmine della celebrazione eucaristica acclamiamo: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione in attesa della tua venuta”. La parusìa è al centro della liturgia odierna. Nei primi sei versetti del Vangelo (37-42) se ne paragonano i giorni a quelli di Noè, non riferendosi però alla malvagità violenta di cui parla Genesi 6, ma alla spensieratezza, alla superficialità di quella generazione distratta che non tenne conto della realtà di Dio e del giudizio che si annunciava imminente. E come allora se ne accorsero solo quando arrivò il diluvio che portò via tutti, così avverrà nei giorni della parusìa di Gesù in cui, senza preavviso, uno sarà preso per la salvezza e un altro lasciato alla perdizione.
Nell’ultima parte (43-44) i giorni della parusìa sono paragonati all’arrivo del ladro, che arriva senza preavviso. Anche qui il padrone di casa – dice la parabola – va in in rovina non a causa della sua malvagità, ma solo della sua imprevidenza e leggerezza (cfr. 1 Tess 5,2-4). Le due parabole non sottolineano l’aspetto gioioso della venuta del Messia, ma piuttosto quello della inappellabilità del giudizio, che acompagnerà la venuta del Messia. Per questo esse si concludono con l’esortazione pressante a vegliare: la prima facendo riferimento al giorno sconosciuto della venuta di Gesù, la seconda all’ora notturna e inaspettata. La liturgia si era aperta però con la visione di una impressionante festa di popolo, anzi di popoli, che in quei giorni si sarebbero radunanati ai piedi di Gerusalemme, esortandosi a vicenda a salire il monte del Tempio (Is 2,1-3).
È una massa di gente che cerca una strada su cui orientare la propria vita; essi non la conoscono, ma sanno con certezza che su quel monte c’è Qualcuno che indicherà quella giusta, dove camminare con sicurezza. Il Signore risponderà divenendo Lui stesso guida e arbitro: ed essi sperimenteranno allora una pace incredibile (v. 5). Il profeta Isaia conclude esortando il suo popolo a camminare nella luce del Signore. L’esortazione di Gesù a fare attenzione per non entrare in letargo, addormentati dal tran-tran quotidiano, cade come una bomba in mezzo alla presente realtà socio-culturale, che vive come se tutto dovesse durare all’infinito, paga del proprio piccolo benessere, garantito da una tecnologia che non cessa di stupire, e del tutto ignara della realtà di Dio e della sua presenza nella storia.
Molte cose rischiano di addormentarci, facendoci chiudere gli occhi sulle realtà fondamentali della vita: la ricerca affannosa della propria immagine, la salute fisica sempre smagliante, la ricerca della giovinezza perenne, l’accumulo dei beni, la lotta per primeggiare… come ricerca di sicurezza. Paradossalmente però il momento presente è anche pieno di paure: paura dell’avvenire, paura per l’ambiente, per il riscaldamento globale, per il buco dell’ozono, paura di quello che mangiamo, dell’aria che respiriamo… non è il caso di insistere su cose che tutti sanno. La verità storica è che le strade intraprese dall’uomo, nel tentativo di salvare se stesso, lo hanno condotto nella palude delle paure e della solitudine. La liturgia di oggi annuncia al credente la possibilità di sperimentare nel profondo di sé la pace descritta dal profeta Isaia, se rimane in vigile attesa della parusìa di Gesù.