La parabola dei due figli

“Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo”, scrive san Paolo ai Filippesi per invogliarli a rimanere “unanimi e concordi” e per questo necessitano di rifarsi all’unico modello da imitare che è Cristo. E l’atteggiamento di umiltà che è proprio di chi non si sente arrivato nel cammino cristiano, ma deve fare un continuo atto di “svuotamento” e di conversione è il messaggio della Liturgia della 26ma Domenica del Tempo ordinario che ci propone come pagina evangelica la seconda delle tre parabole della “vigna” nota anche come “parabola dei due figli”.

La parabola è posta tra il brano in cui sono riportate le provocazioni che i “capi dei sacerdoti e degli anziani” rivolgono a Gesù circa la Sua autorità e la terza “parabola della vigna” il cui insegnamento risponde alle provocazioni degli stessi “capi”. La parabola in questione è costituita da soli 5 versetti ed è sviluppata in modo tale da essere composta da 2 parti di cui la prima presenta l’esposizione di un’ipotetica situazione e la seconda la conseguente dimostrazione pratica. Sia la prima parte (vv. 28-30) che la seconda (31-32) sono introdotte da una domanda che sprona il coinvolgimento attivo degli uditori. Due sono anche i protagonisti interessati e due gli atteggiamenti che essi mettono in atto. Infine, sempre due sono le categorie a cui è indirizzato all’inizio l’insegnamento (capi dei sacerdoti e anziani) e due quelle che alla fine sono prese come esempio di applicazione (pubblicani e prostitute). È anche caratterizzata dalla tecnica del “rovesciamento” perché il protagonista principale della parabola è il padre di due figli dei quali si informa che il primo figlio dice di non andare a lavorare nella vigna e invece va, mentre il secondo figlio dice di andare e invece non va nella vigna. Così i capi dei sacerdoti e degli anziani sono rappresentati dal “secondo” figlio e perciò dicono e non fanno, mentre i pubblicani e le prostitute fanno come il “primo” figlio perché ripensano alla loro vita e si convertono.

L’interrogativo iniziale, proprio del linguaggio di Matteo, “che ve ne pare?”, attira l’attenzione sulla vicenda dei 2 figli, elemento, quello dei “due figli” che si trova già nell’Antico Testamento e nella letteratura del Vicino Oriente Antico. Il primo figlio risponde al padre di non “aver voglia” di andare nella vigna a lavorare, poi si pente e questo “pentirsi” è un sentimento davvero profondo ed è infatti espresso con lo stesso verbo greco (metamélomai) con cui viene significato il rimorso di Giuda (27,3) per aver “consegnato” Gesù ai capi dei sacerdoti. Il secondo figlio, contrariamente all’iniziale apatia del primo, risponde in modo militaresco “sì, signore”, ma non esegue il ‘“comando”. A questo punto è determinante la domanda provocatoria di Gesù: “chi dei due ha compiuto la volontà del Padre?”.

La logica a cui vuol condurre Gesù è quella della messa in atto della volontà del Padre, proprio come suggerisce di chiedere nel Padre nostro, e gli astanti hanno ben compreso tanto da rispondere prontamente “il primo!”. A questo punto però, alle due categorie di uditori Gesù contrappone la altre due dei pubblicani e delle prostitute, categorie quest’ultime che hanno“‘creduto” a Giovanni Battista a differenza di loro che non si sono nemmeno “pentiti” così “da credergli”. Ne consegue tuttavia che i capi dei sacerdoti e degli anziani non vengono esclusi dal Regno di Dio, perché non si parla di esclusione, ma di vedersi “passare avanti” (o “precedere” perché questo è il significato del verbo proago) i pubblicani e le prostitute, che erano dichiaratamente esclusi dalla comunità.

Così si comprende il perché i “capi” sono rappresentati dal secondo figlio e non dal primo come dovrebbe essere logicamente: relativamente ai tempi escatologici sono infatti i secondi ad “entrare nel Regno di Dio”. Così facendo, Gesù sta rispondendo a coloro che criticavano il Suo modo di agire nei riguardi degli aventi un atteggiamento di vita contrario alla Torah: Gesù si fa loro “amico” e li conduce ad un cambiamento di vita basato sul compimento della volontà di Dio attraverso la sequela di Lui. Non basta cioè vivere in modo formale la religione, ma bisogna aderire con vera affezione e fedeltà consapevoli che Gesù non ha preclusioni per nessuno e che desidera la salvezza di tutti purché non si pongano ostacoli fondati sull’orgoglio e sulla esteriorità. “Dire di sì, tutto sì, molto diplomaticamente; ma è no, no, no. Tante parole: sì, sì, sì; cambieremo tutto! Sì, per non cambiare nulla, no? Lì c’è il gattopardismo spirituale: quelli che tutto sì, ma che è tutto no. È la resistenza delle parole vuote” (Papa Francesco, 01.12.2016). A tutti Gesù propone la salvezza, ma non ci sono “raccomandazioni”: è necessario essere sempre pronti a rispondere e ad eseguire …

PRIMA LETTURA
Dal libro del profeta Ezechiele 18,25-28

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 24

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di Paolo ai Filippesi 2,1-11

VANGELO XXVI Domenica del tempo ordinario – Anno A
Dal Vangelo di Matteo 21,28-32

AUTORE: Giuseppina Bruscolotti