La pace è impegno costante, non solo fine della guerra

Proprio in questo 11 aprile di 40 anni fa la Pacem in terris

Questo numero de La Voce esce con la data dell’11 aprile, che segna esattamente la distanza dei quarant’anni della firma dell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII (11 aprile 1963). Fu scritta da quel Papa amato con particolare affetto da milioni di persone e non solo dai cattolici. Era il Papa del Concilio Vaticano II, uomo semplice dal temperamento mite e bonario, ma capace di allungare lo sguardo sulla storia umana e di abbracciare il vasto orizzonte del suo tempo. Scrisse l’enciclica due mesi prima di morire, considerata come il suo testamento. .Ricordiamo l’enciclica anche perché il suo anniversario cade nei giorni in cui sembra finita una guerra, ma non c’è ancora la pace. Non c’è la pace perché rimangono sospetti e paure. Ritornare alla Pacem in terris, come ha ammonito nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del primo dell’anno e in altre occasioni Giovanni Paolo II, significa andare a scuola di pace. L’enciclica infatti è un documento magisteriale che raccoglie i principi sui quali si può costruire l’ordine mondiale, e li illustra in una prospettiva resa possibile nella cornice della fiducia in Dio e della fiducia nella ragione umana in grado di elaborare uno sviluppo civile sempre più elevato. .Si potrebbe dire una summa alla quale tutti possono attingere, credenti e non credenti. L’enciclica infatti si rivolge anche ai cosidetti “uomini di buona volontà” che è un titolo dato a tutti coloro che, nei vari ambiti della società, si pongono a servizio del bene comune universale. I punti di riferimento di tutto l’impianto dell’enciclica sono gli stessi che sottostanno alle discussioni di questi giorni: la verità, la giustizia, l’amore e la libertà. Sono quattro colonne del vivere senza le quali nessuna costruzione umana può a lungo reggersi. Proviamo ad applicare questi quattro criteri alla situazione internazionale di oggi e vedremo come essi non sono astratti, ma toccano cose e situazioni molto concrete che riguardano la fame, l’ingistizia presenti nel mondo, la mancanza di libertà, la pretesa di avere diritti senza doveri, l’odio tribale politico nazionale e religioso e altro. .La pace deve essere una costruzione, un cantiere sempre aperto, come è stato detto, e non una semplice tregua d’armi tra una guerra e un’altra. Giovanni Paolo II ha fatto di questo principio il cardine del messaggio del primo gennaio: Pacem in terris: un impegno permanente.. Nonostante quello che si dice in giro e quello che da tante parti è accaduto di conflitti e violenze, un progresso nel senso della costruzione di un mondo che ha ripugnanza verso la guerra è avvenuto. Anche grazie ai potenti mezzi d’informazione vi è una maturazione delle coscienze, senza dire del continuo insegnamento della Chiesa. Nessuno oggi si sognerebbe di “coventrizzare” (radere al suolo) una città, come è accaduto nella seconda guerra mondiale. Il modo di fare la guerra è cambiato e punta a colpire soprattutto simboli (le Torri gemelle di New York o la piazza del Paradiso di Bagdad statua compresa). Ancora insufficiente e pericoloso. Non resta che seguire i criteri che l’encilcica propone e che gli uomini siano veramente tutti di “Buona volontà”.

AUTORE: E.B.