E’ servito a poco l’appello di Papa Francesco, all’Angelus dell’Assunta di quest’anno, a pregare per le popolazioni del Nord Kivu nella Repubblica democratica del Congo, che “sono vittime innocenti di persistenti conflitti che da tempo vengono perpetuati nel silenzio vergognoso, senza nemmeno attirare la nostra attenzione”. Sono popolazioni che non hanno la possibilità di attirare l’opinione pubblica mondiale, che è stata più interpellata da problemi come la dolorosa separazione tra Brad Pitt e Angelina Jolie o il trasferimento, mal accettato dai tifosi napoletani, del campione Gonzalo Higuain alla Juventus. Nessun giornale e nessun telegiornale ha parlato dei massacri che ormai da 15 anni sono perpetrati contro la tribù Nande nel nordest della Repubblica democratica del Congo. Con un gruppo composto da 10 giovani, di cui 4 seminaristi del Seminario regionale di Assisi, ci siamo recati nei territori della provincia di Lubero, che confina con quelli della provincia di Beni, dove la violenza di una guerra senza senso semina morti, miseria e terrore.
La situazione è drammatica per l’assenza dello Stato, che non interviene sul territorio in settori come l’istruzione e la sanità, i quali sono praticamente in mano alla popolazione che, in maniera autogestita, si è organizzata per pagare infermieri, dottori e professori. La presenza dell’Onu, con una massiccia operazione, è caratterizzata da un notevole numero di militari e mezzi pesanti, ma appare inquietante e ridicola, visto che poi i massacri non sono mai cessati e vengono eseguiti sempre senza conseguenze e con semplici machete, che sono una sorta di roncola che utilizzano i contadini per ripulire i campi.
La gente ormai non ha più fiducia nell’attività dell’Onu: è il vescovo della diocesi di Butembo-Beni a farsene portavoce da tempo. Con questi ragazzi abbiamo provato a portare un po’ di amore e di calore evangelico, mettendo a disposizione dei fondi raccolti durante l’anno per ampliare il carcere di Lubero, dove 73 prigionieri vivono in condizioni disumane, e ricostruendo il tetto e i pavimenti della scuola primaria di Kighali, dove studiano 250 bambini; ma soprattutto mettendo a disposizione le nostre mani e le nostre energie, lavorando insieme alla gente del posto. Siamo andati a “regalare” per tre settimane, e siamo tornati con una perla da tenere stretta per tutta la vita: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,34-35). Questa Parola spesso rimane morta nei nostri cuori, ma, grazie ai carcerati, ai bambini, alle persone che hanno lavorato con noi e che ci hanno fatto entrare nelle loro piccole casette poverissime, senza luce, senza bagni, ma impregnate di vita e di calore umano, noi l’abbiamo sentita viva.
Siamo tornati in Italia feriti dall’amore di Dio che si è servito di chi non ha niente per darci Tutto. Per questo il Nord Kivu non può solo fare notizia – se un giorno la farà – per i bollettini della Guerra del coltan e dei minerali, che ufficialmente viene definita come “guerra dei ribelli ugandesi” che vogliono stabilirsi nei territori di Beni. Il Nord Kivu ha un altro respiro, quello di chi ancora sa amare nonostante l’odio, di chi sa credere nella vita nonostante la morte. Chi ha sentito questo respiro, sente quanto sia soffocato il nostro e quanto sia vero che l’indifferenza e la superficialità continua a fare morti sia in Africa che in Europa. È questo il grido dei giovani tornati da quest’esperienza unica, e che ora progettano nuovi interventi a sostegno di quella povera gente, che senza parole trasmette una sapienza antica, eterna, evangelica.