In questi giorni della Settimana santa, fissando lo sguardo sulla croce di Cristo, non abbiamo potuto fare a meno di riconoscere le nostre sorelle e i nostri fratelli ucraini, così come quelli siriani, yemeniti, etiopi e di tutte le altre guerre nascoste. Abbiamo visto i loro occhi impauriti, le piaghe delle loro ferite, le lacrime delle enormi sofferenze che sono state loro inflitte, i mille disagi causati dallo sradicamento dei profughi e degli sfollati. Questo è il Cristo crocifisso che adoriamo il Venerdì santo, e che ci viene portato in casa dalla liturgia della vita. Per quanti nei giorni scorsi abbiamo condiviso l’esperienza di “Stop the war – Facciamo la pace”, l’azione di pace nonviolenta in Ucraina, e per coloro che hanno avuto modo di toccare le piaghe della guerra, l’adorazione della croce non risulta né scandalo né bestemmia.
Siamo chiamati tutti ad avere il coraggio e la compassione di condividere le nostre lacrime con quelle generate dall’umiliazione e dalla violenza, di ieri e di oggi. Ci viene richiesto uno sguardo profondo per entrare nella sofferenza di Cristo e nelle sue cinque piaghe per comprendere meglio la forza di quelle parole di perdono che, proprio dalla cattedra autorevole della croce, si estendono sul mondo.
Papa Francesco l’ha messo in evidenza, con una profondità mistica e sociale insieme, nell’omelia della celebrazione della Passione nella Domenica delle palme: “Affisso al patibolo dell’umiliazione, aumenta l’intensità del dono, che diventa per-dono”. Parole, quelle di Cristo, tutt’altro che convenzionali, consuete e di circostanza. Proprio il Golgota e quell’ora tragica ha il potere di disvelare un frammento di risurrezione.
Già nel Venerdì santo il perdono dischiude le porte di una storia nuova, perché interviene a spezzare la spirale della violenza alimentata dalla vendetta e la risposta del dolore inflitto al dolore subìto. Solo quelle parole di perdono riescono a dissipare le ombre della “morte secunda”, per dirla con san Francesco – la morte dell’anima. Sappiamo che il conflitto in corso in Ucraina, una vera e propria guerra di aggressione, corre il rischio di estendersi e di coinvolgerci. Ma se restiamo saldi nello sguardo della croce, oltre la morte intravediamo il mattino di Pasqua ogni volta che accogliamo la cifra della nonviolenza che, sola, ha il potere di non perpetuare sofferenze, distruzioni e morte. Non si tratta di un vuoto ottimismo augurabile a chi vive la tragedia della guerra, ma della certezza che respiriamo nel “giardino di Pasqua” che è il luogo di una creazione nuova.
Fratelli tutti, nutriamo la speranza e la convinzione che solo la fraternità vissuta fino alle sue estreme conseguenze ci porterà fuori dall’oscurità del Venerdì santo. Nella tempesta di questo tempo di guerra, lo scampolo di risurrezione è proprio nella nonviolenza. Cogliendo ancora dalle parole di Papa Francesco, riflettiamo: “Se vogliamo verificare la nostra appartenenza a Cristo, guardiamo a come ci comportiamo con chi ci ha feriti. Il Signore ci chiede di rispondere non come ci viene o come fanno tutti, ma come fa Lui con noi”. E sarà Pasqua!