Continuiamo in questo numero la lettura della Sacrosanctum Concilium, la Costituzione sulla liturgia del Concilio Vaticano II, che abbiamo inaugurato la scorsa settimana, con l’intento di riflettere con semplicità sul senso e l’importanza che la liturgia ha nella vita della Chiesa e dunque di ogni cristiano. Già precedentemente abbiamo accennato a come la liturgia è l’azione con la quale la Chiesa continua ad attuare l’opera della redenzione.
Questa settimana ripartiamo da qui, facendo riferimento ai primi numeri della Costituzione sulla liturgia. È chiaro per l’assise conciliare che celebrare significa attuare l’opera salvifica di Dio, “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4). Opera che ha avuto il suo inizio fin dalle origini e ha trovato il suo culmine nel Cristo: Gesù Cristo infatti “porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre” (Dei Verbum, n. 4).
Dal costato trafitto di Cristo è poi “scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (SC, n. 5), per questo – continua la Costituzione sulla liturgia, al numero 6 – Cristo ha inviato gli apostoli per annunciare e attuare l’opera della redenzione. Già questo basterebbe per comprendere la vitale importanza che la liturgia ha per il popolo di Dio: celebrare non è portare avanti il “si è sempre fatto così” o l’attenzione a un mero precetto da assolvere, ma partecipazione all’evento salvifico, operato una volta per tutte (Eb 9, 25-28), e attualizzato nel tempo “mediante il sacrificio e i sacramenti” (SC, n. 6).
Detto questo, ciò su cui vorrei soffermarmi sono due verbi utilizzati dal documento che formano un binomio indissolubile: annunciare e attuare.
Vediamo infatti che la missione data agli apostoli, e dunque alla Chiesa tutta, è annunciare l’opera della salvezza e attuarla mediante la liturgia.
Lo schema è tipicamente biblico: nell’incontro con i discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) il Risorto “cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva di lui” (v.27) e poi insieme spezzarono il pane. Ancora: dopo la Pentecoste (At 2,1-41) c’è il discorso di Pietro, che sarà seguito dal battesimo di circa tremila persone. Un ultimo esempio: la prima comunità cristiana (At 2,42-47) era “perseverante nell’insegnamento degli apostoli e nello spezzare il pane”.
Potremo continuare a citare tanti altri racconti biblici nei quali l’annuncio e l’attuazione di questo annuncio – nello spezzare il pane come nel battesimo – sono due azioni strettamente connesse, che formano una sorta di circolo virtuoso.
Annunciare e attuare ciò che si annuncia
Per questo il documento conciliare cerca di tenere in equilibrio queste due dimensioni parlando della liturgia come azione sacra per eccellenza (SC, n.7) e fonte e culmine della vita cristiana (SC, n.10); ma al contempo sottolineando che essa non esaurisce l’agire della Chiesa (SC, n.9), perché quest’ultima è chiamata anche all’annuncio, alle opere di carità, all’apostolato, alla continua conversione della vita.
Speriamo che, in questo tempo nel quale la celebrazione comunitaria è venuta meno, il popolo di Dio non si sia focalizzato solo sull’“assenza” e abbia anche compreso che la liturgia è vitale, sì, ma non è certo l’unica azione che si può compiere.
Don Francesco Verzini