In questi giorni di fuoco in cui tutti siamo più o meno eccitati e scossi, angosciati o depressi, si dovrebbe tacere, pensare, riflettere, raccogliere contributi per le popolazioni colpite e ancora pregare come ci suggerisce la carmelitana Cristiana Dobner (pag. 3). E si poteva ragionevolmente pensare che lo scoppio delle bombe e la strage di esseri umani, compresi bimbi innocenti ci avrebbe resi tutti più attenti, ponderati, equilibrati. Invece troviamo grandi e chiassose manifestazioni sempre meno unitarie, perfino di categoria, come quella dei Cobas. Ciò significa che se da una parte la guerra può funzionare come mezzo di compattazione dei diretti belligeranti, finisce per dividere quelli che stanno a guardare e pensano di trarne ugualmente dei vantaggi. Ci sono anche qui da noi quelli che litigano se è meglio una guerra lunga o una corta. Quelli che la desiderano lunga e logorante vogliono così puniti gli anglo-americani, “così imparano”, quelli che invece la preferiscono breve e decisiva, costi quello che costi, vogliono punito il dittatore protervo e crudele con tutto il suo servile seguito di funzionari e gerarchi. C’è poi chi vuole che la guerra si fermi subito, senza se e senza ma, con i soldati che si ritirano in buon ordine, chiedendo scusa del disturbo. Altri più realisticamente, si fa per dire, aggrappandosi a questioni grammaticali, affermano che si deve chiedere di fermare la guerra subito per favorire gli aiuti umanitari. Ma altri non sono contenti: si deve chiedere di fermare la guerra e insieme di favorire gli aiuti umanitari. Ma la guerra deve cessare senza finalità e condizioni. Stiamo assistendo ad un processo di carattere sintattico intenzionale che si svolge a sinistra.Io penso che si debba fare di tutto per fermare la guerra trovando soluzioni diplomatiche ai problemi per cui è scoppiata, fondati o meno che siano, e che sia pertanto la più breve possibile e procuri il minor numero di vittime, sia di quelli in borghese che in divisa. Operare in questa direzione e con questo intento è il compito che governi, partiti e tutti coloro che hanno qualche voce in capitolo devono assumereE’ fuori del tempo, pertanto, la polemica sulla “bandiera della pace” che sta toccando anche il mondo cattolico. Credo che abbia ragione il segretario generale della Cei mons. Giuseppe Betori quando afferma che in chiesa quella bandiera è un simbolo “sovrabbondante. Credo anche però che sui campanili o sulle finestre delle canoniche non ci stia male e comunque non vedo quale problema debba porre. L’intenzione dei cattolici che amano questa bandiera, e sono tanti compresi illustri personaggi, leader e membri di associazioni e movimenti cattolici di non piccolo peso, è quella di non abbandonare e lasciare ad altre ideologie un simbolo che appartiene, sì a tutta l’umanità, ma in modo più diretto a coloro che credono nella parola della Bibbia come parola ispirata. La bandiera della pace rappresenta l’ “arco sulle nubi” segno di alleanza cosmica di Dio con l’umanità (Genesi 9,16-17). Ma dopo tutto, purtroppo, di biblico oggi da considerare ci sarebbe ben altro, a partire da Caino e Abele per finire con la strage degli innocenti, dove l’Erode c’è, anche se qualcuno lo individua in Bush e altri in Saddam e forse è un Erode collettivo in cui ci sono tutti, compresi quei poveri soldati dell’una e dell’altra parte che per costrizione, per paura, per fame o per denaro e per carriera provocano morte anche in un reparto di maternità. Proprio così. Questo è il fatto. Come è un fatto che muoiono tanti bambini. E, da capo, riesplode la polemica: Saddam vi ha infilato armi e missili, si serve di scudi umani, si dice. E si sapeva. I missili sono intelligenti, ma sono tanti e nel mucchio c’è sempre qualche mela marcia. Diciamo basta alle parole, alle guerre grammaticali e di categoria. Puntiamo almeno a salvare la pace e l’igiene mentale dei nostri bambini e delle giovani generazioni non sacrificandole al dio della guerra di nessun tipo, militare, fredda o calda, batteriologica, chimica, religiosa o ideologica. Un po’ di tranquillità, di misura e di ordine. Impariamo a costruire la pace.