La data del 2 agosto festa del Perdono di Assisi è una delle occasioni che ci presenta il calendario per riflettere sulla storia della nostra regione contrassegnata da personaggi ed eventi che l’hanno resa famosa nel mondo. La festa del Perdono quest’anno ci ha suggerito di indagare sulla attualità di un messaggio, quello appunto del perdono dei peccati. La prima impressione che si ha da parte di molti è che si tratti di una questione medievale che risponde ad una mentalità superata. E tuttavia l’esperienza fatta in occasione del Giubileo di folle di persone di ogni età e ceto sociale che hanno partecipato a celebrazioni penitenziali (ricordo personalmente quella per docenti universitari) con relativa celebrazione della penitenza sacramentale e la perdurante pratica della confessione, anche se con lamentate carenze, ci hanno provocato a domadarci se e a quale esigenza risponda ancora quella ricerca di perdono che San Francesco predicò con l’annessa indulgenza della Porziuncola nel lontano 1216. Abbiamo chiesto delle opinioni e riflessioni a personaggi che hanno riflettuto sull’argomento e chiediamo anche il contributo dei lettori che possono scriverci le loro esperienze che potremo pubblicare mantenendo, se richiesto, l’anonimato. (n.d.r.)Il sacramento della Confessione deve essere un sacramento di gioia, un sacramento di lode, un sacramento di ringraziamento e anche un momento di decisione verso un programma ascensionale di vita cristiana. Se si è parlato e se si parla ancora di crisi, non lo si deve fare soltanto in ordine al numero di ciò che si confessa, ma al grado di Fede sui contenuti sopra accennati. Intanto, in questi giorni, per il noto riferimento francescano del 2 agosto, la parola “perdono” viene a consolarci, ma con lieta sorpresa abbiamo scoperto da tempo che il famoso episodio di san Francesco alla Porziuncola, “non è un fatto isolato (più diffuso, sì: i francescani sono sempre i “più fortunati!”) A Aquila, per esempio, il 15 agosto si celebra la “perdonanza”, una pratica similare che si fa risalire al santo eremita di Sulmona, Pietro del Morrone, che fu, per pochi mesi, papa Celestino V. E’ questa associazione di idee che ci fa provare a scrivere qualche parola di fiducia e di speranza circa la crisi di cui si parla. Senza la parola “perdono” la Redenzione cristiana non ha senso. Qualcuno non ha mai creduto ad una vera crisi del sacramento della confessione e tanto meno, nella sua irrecuperabilità.Certo tutti gli allarmi emessi, circa il modo, circa la “pratica” con cui molti fedeli si accostavano e si accostano a questo Rito, sono fondati. E’ grazie a questi allarmi succedutisi in gran numero dal Papa, dai vescovi e da quanti interessati alla vita pastorale del popolo di Dio, che gli studi, i convegni, i documenti, gli articoli e ogni genere di pubblicazioni si sono moltiplicati per affrontare e risolvere il problema. Anche a costo di scrivere qualche cosa che potrà sembrare una elencazione, ci piace puntualizzare qualche risultato che sembra aprire il cuore alla fiducia. Come per ogni malattia, anche per il momento critico di cui si parla, ci è sembrata giovevole la diagnosi. A quel logorìo già ricordato, usura anche di secoli, è seguita una riforma conciliare della celebrazione penitenziale, formulata in tre riti diversi, molto belli, ma di difficile applicazione, in parte non subito applicabili, in una orientazione ibrida tra pubblico e privato. Già questo basta al confessore volonteroso e al penitente sapiente, per non perdere nulla del valore intimo e personale, salvaguardando il “comunitario” come tenta di fare la “liturgia penitenziale”. Del resto esiste già una liturgia generale che si vive in una domenica celebrata bene e nell’attenzione al respiro intero dell’anno liturgico. Il progresso generale del Popolo di Dio deve sottolineare nella pratica della Confessione il “nuovo” ben presentato nella Chiesa, deve generare il “gradito” tipico di un’accoglienza, il Papa predica con la vita. Bisogna ricercare un “utile” per la propria pace e un “creativo” per operare la Verità nella Carità pratica. Il formalistico, il perentorio, il giuridicismo del passato vanno superati. Va evitato il moralismo che incentra tutto sul peccato (e spesso solo sul peccato sessuale…). La pratica della confessione deve puntare al positivo: amore di Dio e amore del prossimo. Il sacramento personale resta perno di vita cristiana, ma deve superare il devozionismo, l’abitudine, sulla base generale di cultura religiosa, per cui è bene non dimenticare altre crisi come quella dell’ignoranza catechistica. L’incontro col confessore deve concludersi con un avvio serio a un programma personale fatto di propositi (o, meglio di un proposito) concreti. Quest’ ultimo punto può condurre, ed è bene che lo faccia a ciò che si chiama “direzione spirituale” ma che resta un genere diverso dalla Confessione. Questi spunti, necessariamente incompleti, nascono oltre che dall’esperienza, da quanto è possibile apprendere dai risultati a cui si accennava prima. La conclusione che ci sentiamo di tirare, (per ora…), da tanti discorsi può essere espressa con le parole di Gesù: “…un discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52).
La gioia del perdono e la lode per l’abbondanza della misericordia
Festa del perdono di Assisi: un'occasione per ripensarne il significato
AUTORE:
Don Remo Bistoni