“È una gazzella diventata elefante”: a parlare, su Famiglia cristiana, è don Vinicio Albanesi. Figlio di una persona amabilissima che purtroppo non c’è più, Teresa, la postina di Montelupone nell’ex “Marca sporca”. 66 anni, presidente del Cnca (Coordinamento nazionale della Comunità di accoglienza) dal 1992 al 2002, dal 1994 presiede quella ramificata rete di solidarietà che va sotto il nome di Comunità di Capodarco: a Perugia ce ne sono addirittura due, la Comunità di Capodarco di Perugia di Francesca Bondì e la Comunità di Capodarco dell’Umbria, nella quale vivo anche io. Don Vinicio è anche parroco, presidente dell’Irca di Ancona, della Comunità di Capodarco di Roma, della Caritas diocesana di Fermo e del Tribunale ecclesiastico regionale delle Marche. Troppi impegni? Vi garantisco che lui non perde un colpo. E pochi possono parlare del terzo settore con competenza pari alla sua. Associazioni, cooperative sociali, enti di altra natura, impegnati nel campo medico / sociale, in quello assistenziale / educativo (minori, anziani, disabili, tossicodipendenti), nella difesa dell’ambiente, nella promozione del dialogo interculturale, della pace e del disarmo. Terzo settore, non profit, privato sociale. “Terzo settore”, “terzo” tra Stato e mercato, perché la sua azione sociale si differenzia sia da quella del Governo centrale, delle Regioni, delle Province e dei Comuni, sia da quella del privato di mercato, che a volte produce anche servizi, ma lo fa con criteri strettamente economici. “Non profit” perché in esso non c’è fine di lucro. “Privato sociale” perché il suo farsi carico dei problemi sociali non scende dallo Stato verso la società, ma sale dalla società verso lo Stato. Dice don Vinicio: “Era una gazzella, è diventato un elefante”. Il carattere elefantiaco del terzo settore l’attestano i dati nudi e crudi: 235.232 organizzazioni; circa 4 milioni di persone coinvolte, di cui 488.523 dipendenti e 3.315.327 volontari; un fatturato di 38 miliardi di euro. Che non sia più una gazzella ce ne accorgiamo noi che ci viviamo dentro. La componente lavorativa spesso oscura quella motivazionale. E senza motivazioni non si va da nessuna parte. Meglio: si va verso l’insignificanza, anticamera dell’estinzione. Occorre un colpo di reni. E l’Ente pubblico, dopo averci a lungo blandito, ci tratta a volte come pezze da piede. Dall’assessorato regionale alla Sanità i diktat ci arrivano a pioggia; sono partiti da un Moloch collocato nessuno sa dove, intento a mangiarsi la qualità delle persone emarginate in nome dell’efficienza quantitativa dei servizi a loro dedicati. Ci penso, e mi vien fatto di dire come quel mio amico eugubino ex-gran-de bestemmiatore, al quale da quando non bestemmiava più tutte le cose andavano per traverso: “Signoruccio mio io ’n ve bastigno più, ma Vo’ me trattate come ’no sconosciuto!”. Occorre un colpo di reni. O forse qualche fuoco d’artificio. Sto mettendo da parte la miccia.
La gazzella che diventò elefante
Abatjour
AUTORE:
A cura di Angelo M. Fanucci