Del racconto della fuga in Egitto cogliamo spesso la centralità delle figure dei magi: voglio invece soffermarmi oggi sulla trama con cui Matteo ha costruito la narrazione. Ci impressiona infatti come tutto la storia sia percorsa da una vera e propria suspense. Non solo, ogni cosa è come appesa ad un filo. Riflettiamo, tralasciando molte cose ed entrando nella costruzione del racconto. I magi vedono una stella, e iniziano un viaggio lunghissimo, ma questo segno ad un certo punto scompare. Come faranno a trovare la strada? Prima difficoltà. Per trovarne ancora le tracce, i magi si rivolgono addirittura al nemico numero uno di Gesù (anche se questo il lettore del Vangelo non può ancora saperlo: lo scoprirà solo più tardi).
L’ironia è qui particolarmente forte, perché ad un re che non è giudeo si domanda: “Dov’è il re dei Giudei che è nato?” (Mt 2,2). Ma nemmeno il re – e con lui “tutta Gerusalemme” – (2,3) sa di cosa parlino i magi, anzi nessuno sembra sapere che deve nascere colui che ora non è più soltanto un re, ma è addirittura diventato il Messia (2,4). Come faranno i magi, e cosa farà Erode? Seconda difficoltà. La palla passa allora ai sapienti, agli esperti delle Scritture, che riescono a scovare un vecchio libro nel quale è scritta la profezia sul luogo che è Betlemme. Di questa città però sia il re, sia i sapienti d’Israele (e anche i lettori di Matteo) apprendono che è in realtà un borgo piccolissimo della Giudea, che quasi sfugge alle carte geografiche: potrà davvero un luogo così insignificante dare i natali al re-messia? E, soprattutto, si può credere ancora a quelle profezie o sono solo storie raccontate per passare il tempo?
Terza difficoltà. I magi riprendono finalmente il viaggio, sapendo dove andare, e ritrovano la stella. Ma insieme alla stella compare nuovamente all’orizzonte un’ombra di morte: il re Erode, che vuole sapere se è nato o non è nato il re dei Giudei, andrà davvero ad adorarlo (2,8), come dice lui, oppure farà qualche altra cosa? Quarta difficoltà. Finalmente, i magi arrivano alla casa di Betlemme, e sono appagati da tutte le loro fatiche. Prima che partano per tornare indietro però i magi fanno un sogno: fragile realtà, questa, fatta di quella strana materia, direbbe Shakespeare nella sua Tempesta, di cui sono fatti anche i personaggi di un dramma in teatro. Si può davvero credere ad un sogno? O si rivelerà semplicemente un’illusione?
Quinta difficoltà. I magi ci credono e fanno ritorno al loro paese per un’altra strada, salvandosi forse essi stessi da Erode, e dando un po’ di tempo al bambino e alla sua famiglia per fuggire in Egitto. Miracolosamente, tutto si conclude per il migliore dei modi. Ma un dubbio rimane nella mente del lettore: cosa significheranno quei doni che i magi hanno portato? L’oro, va bene, è segno – con l’incenso – del grande onore che si deve al re e al messia dei Giudei. Ma la mirra? Non è forse quella sostanza amarissima usata per la sepoltura dei morti? Tiriamo le fila. Tantissimi sono i livelli con cui possiamo leggere il Vangelo di oggi. Quello cristologico: il re-messia è destinato a regnare, ma contro di lui vi è già, prima ancora che nasca, un regno molto ostile; i doni dei magi dicono poi che si tratta di un messia molto particolare, destinato alla morte per salvare il suo popolo dai suoi peccati (cfr. Mt 1,21).
Il livello teologico: i magi con la conoscenza ‘naturale’ delle stelle e con tutta la loro sapienza possono arrivare solo fino ad un certo punto, ma non a Betlemme: per giungere a contemplare Dio serve qualcuno che conosca le Scritture e le sappia leggere. Anzi, servono proprio le Scritture, la Parola di Dio, la sua rivelazione positiva. Il livello della storia della salvezza: l’Antico Testamento è per Matteo profezia del Nuovo. Negli oracoli del profeta su Betlemme c’è chiaramente scritto che il Messia viene dalla casa di Davide: si porta così a compimento quanto scritto anche nel Secondo libro di Samuele, quando il profeta Natan dice al re Davide: “Te poi il Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore” (2 Sam 7,11-13). C’è soprattutto, mi sembra di averlo dimostrato sopra, il livello della fragilità della Parola.
Come dicevamo, tutto nel nostro racconto è appeso ad un filo, ma soprattutto ci stupisce il fatto che né il re dei Giudei, né i sommi sacerdoti né tanto meno gli esperti della Scrittura, cioè gli scribi, si preoccupino di capire fino in fondo quello che sta accadendo. Ma come?, ti arrivano dei sapienti da lontano che affrontano un lungo viaggio, chiedono aiuto e illuminazione, e quando finalmente si capisce che la risposta alla domanda dei magi è nelle Scritture, nessuno a Gerusalemme – tranne questi stranieri – le prende sul serio. Quanto è ancora vero tutto questo. E quante volte le Parole di Dio che sono nella Bibbia ci scivolano via nelle sedi che anche per noi sono quelle più preposte per invece ascoltarle. Ma da tale libertà dipende la forza – e la fragilità – della Parola di Dio.
Se spesse volte siamo portati a ritenerla, giustamente, potente e forte come “una spada a doppio taglio” (Eb 4,12), capace di illuminare la nostra vita come una “lampada per i nostri passi” (Sal 105), eterna Parola che non verrà mai meno, mentre tutte le altre cose di questo mondo passeranno (1 Pt 1,25), ebbene, se tutto questo è vero, è vero anche che la parola è così fragile che si affida al nostro ascolto. Guai se ci fosse imposto di credere, o di capire quanto è invece abbandonato alla nostra povera fede. Il fatto che da Gerusalemme nessuno si muova, conferma che solo per fede puoi vedere in quel bambino il Messia, e solo così prostrarti, ed adorarlo.