Si possono insegnare verità di fede senza dire in che consiste la fede? C’è da chiederselo, perché in genere si pensa che la fede sia una cosa nota. È infatti una parola detta e ripetuta in ogni catechesi, in ogni celebrazione, e si suppone che gli ascoltatori accolgano con fede quello che loro viene insegnato. E può accadere che anche chi insegna dica parole con le labbra più che con il “cuore”, come succedeva anche al tempo di Gesù. “Ipocriti! – diceva infatti Gesù agli scribi e ai farisei. – Bene ha profetato di voi Isaia dicendo: ‘Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me’” (Mt 15,7-8). Essi insegnavano ripetendo la Parola di Dio con le labbra, non con il cuore. Il “cuore” sta qui ad indicare la vita interiore di una persona. Le verità di fede, infatti, sono “parole di vita”, “parole di vita eterna”; “Tu hai parole di vita eterna”, dice Pietro a Gesù (Gv 6,68). E se sono “parole di vita”, non devono diventare parole vuote, non vissute da chi le insegna e senza trasformare la vita di chi le ascolta. San Paolo aveva ben capito questa misteriosa nascita che ci fa figli di Dio, quando la Parola di Dio è accolta con fede. “Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo, mediante il Vangelo. Vi esorto dunque: fatevi miei imitatori”, scriveva ai cristiani della Chiesa di Corinto (1Cor 4,15). E per far meglio capire che predicando la Parola di Dio li aveva generati alla fede, ci tiene a dichiarare: “Ringrazio Dio di non aver battezzato nessuno di voi, se non Crispo e Gaio” (1Cor 1,14).
Non fu, dunque con il sacramento del battesimo che essi ricevettero la vita divina, ma con la predicazione del Vangelo, da loro accolta con fede. Il sacramento, infatti, essendo un mistero della fede, suppone che nel battezzando la fede già ci sia. Se il predicatore, il catechista, l’insegnante di Religione ha un esatto concetto della fede cristiana, gli si pone come inevitabile un esame di coscienza su come si svolga il suo compito di insegnare le verità di fede ai suoi discepoli. Già gli antichi filosofi si ponevano il problema se la virtù potesse essere oggetto di insegnamento. Gesù ha semplificato la questione dicendo che i suoi discepoli non devono essere chiamati “maestri”, perché Maestro è lui solo; devono essere invece suoi “testimoni” (Gv 15,27). E la testimonianza non si fa solo a parole, ma rendendo visibile con la propria vita la persona di cui si deve dare testimonianza. Anche in questo caso, san Paolo è un modello perfetto di testimonianza cristiana: “Sono stato crocifisso con Cristo – scriveva ai cristiani della Chiesa della Galazia – e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Così san Paolo predicava la sua fede soprattutto con la vita.