E’ ancora questione di fede! Il Vangelo di questa domenica ci dà la risposta alla domanda: “A che serve la fede?”. La fede serve all’anima. Per fare che? Per camminare! Ci sembra strano? Invece è proprio ciò che è successo ai dieci lebbrosi; quanta strada ha fatto la loro anima grazie alla fede: ha ottenuto addirittura la guarigione del corpo! E quanta strada farebbe la nostra anima se avessimo più fede; giungerebbe fino al cuore di Dio. E varcherebbe la soglia dell’impossibile. La lebbra – come sappiamo – era quella terribile malattia che isolava completamente la persona che ne era affetta; questa veniva considerata impura e relegata fuori dalle mura della città, con il divieto di avvicinare altre persone. Ebbene, i dieci lebbrosi infrangono tutte queste regole: si mettono in cammino, entrano nella cittadina, si avvicinano a Gesù, di cui avevano sentito parlare, e lo implorano a gran voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. Credono veramente che lui possa guarirli. Quando svanisce la speranza nei rimedi umani, nasce la fede nel miracolo, o perlomeno, ci si rivolge a Colui che solo può tutto. Ma il cammino dei dieci lebbrosi non finisce lì, perché Gesù, senza averli ancora guariti, li rimette in cammino e li manda dai sacerdoti. Questa prescrizione sembra tanto più strana in quanto era riservata a coloro che erano già guariti, mentre loro erano ancora malati. Ma ci vanno lo stesso, cioè credono realmente nella guarigione anche se non la vedono ancora.
La fede è questo: credere prima di vedere. Ed ecco che, durante il cammino, di colpo si ritrovano guariti. Ma uno solo, che non era neppure giudeo ma samaritano, cioè straniero, torna indietro a ringraziare Gesù. E non solo a ringraziarlo, ma si getta ai suoi piedi per adorarlo. E lui solo si sente dire: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Gli altri sono stati guariti, ma questo è stato salvato, cioè ha riconosciuto in Gesù il Salvatore, non solo il dispensatore della guarigione. Non gli è bastata la guarigione, ha voluto rivolgere il suo sguardo e il suo grazie al Donatore di ogni grazia. Gesù rimprovera gli altri nove – che poi siamo tutti noi – perché non hanno saputo rimettersi in cammino per venire a riconoscere il Salvatore: si sono fermati su loro stessi, guardando solo il dono ricevuto, disinteres- sandosi del donatore. Quante volte anche noi ci ricordiamo del Signore solo per chiedere le grazie, e una volta ottenute, non andiamo oltre. Mentre il Signore vuole che alziamo lo sguardo fino a Lui, che non ci accontentiamo di meno. Le grazie sono solo un segno – come pure i miracoli – per invitarci a rimetterci in cammino e puntare verso la meta che è Lui, non la guarigione o la grazia in sé. Ma per questo dobbiamo purificarci anche noi dalla nostra lebbra – il peccato – che incrosta la nostra anima e la rende opaca, scura, dissomigliante.
E come? “Andando dai sacerdoti”, come i dieci lebbrosi. Gesù vuole guarirci, e lo fa attraverso due grandi sacramenti. Uno è la confessione. Perché dobbiamo dire i peccati al ministro che rappresenta Gesù? Perché siano distrutti, cancellati, inondati dai fiumi d’acqua viva che sgorgano dal suo Cuore. Solo il male non detto non può essere sanato. Nessun medico può curare un malato che dice di essere sano, e nessuno va dal medico per dirgli che non è malato! Non temiamo di riconoscere il nostro peccato, perché è allora che ne saremo guariti definitivamente. L’altro grande “sacramento” è la sofferenza accettata e vissuta come riparazione. Questa fa volare, non solo camminare, l’anima. “La sofferenza e il sacrificio sono le due grandi forze… disarmate, che possono salvare il mondo. È con queste che Gesù ha salvato l’umanità. La più grande grazia da chiedere, dunque, più grande anche dei miracoli è proprio la purificazione del cuore che, distruggendo ogni dissomiglianza dovuta al peccato, ricostruirà in noi l’immagine e somiglianza originaria” (Maria Maistrini). E allora rifletteremo di nuovo, come un puro cristallo, gli splendori della luce divina. E la irradieremo tutt’attorno. Santa domenica.