Inizia la Quaresima come cammino di fede verso la Pasqua di Gesù e nostra, un periodo di quaranta giorni come quello che Gesù trascorse nel deserto per prepararsi al suo ministero. Il 40 è uno dei numeri-simbolo usati con frequenza nella Bibbia per indicare un periodo di riflessione e di esperienza significative e decisive. Mosè trascorse quaranta giorni sul Sinai, senza mangiare né bere, faccia a faccia con Dio, prima di annunciare al popolo i comandamenti (Es 34,28). Elia camminò nel deserto quaranta giorni senza prendere cibo per raggiungere l’Oreb alla ricerca della volontà di Dio (1 Re 19,8).
La Quaresima è entrata nella Chiesa come tempo di riflessione, di riscoperta e di verifica della fede. All’inizio era il periodo che i catecumeni dedicavano a prepararsi più immediatamente al battesimo, amministrato loro nella notte di Pasqua; era anche il periodo che i penitenti pubblici dedicavano al pentimento dei peccati in vista della riconciliazione concessa loro il Giovedì santo. La Quaresima inizia ogni anno proponendoci l’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto, a ricordarci che la nostra fede è messa sempre alla prova nel cammino della vita. La tentazione non risparmia nessuno.
Il Vangelo ci indica in che direzione vadano le nostre tentazioni, perché Gesù, prima di noi le ha volute sperimentare, “essendo lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato” (Eb 4,15). Per Matteo le tentazioni di Gesù sono paradigmatiche, in esse si rispecchiano cioè le tentazioni del cristiano. Per indicare questo, mette in diretta successione la scena del battesimo e quella delle tentazioni, che è la successione presente nella vita cristiana. Sono descritte, è vero, con testi e richiami biblici alla storia dell’Esodo e con riferimento alle aspettative messianiche dell’ambiente del tempo di Gesù, ma nel fondo sono tentativi diabolici di separare il credente da Dio, sono sollecitazioni a compiere un cammino di vita autonomo, fuori da ogni progetto divino. In questo, il diavolo è estremamente ripetitivo, forse perché il primo tentativo fatto con i primi uomini gli riuscì bene.
Gesù fu dunque “condotto” dallo Spirito (che era appena sceso su lui al Giordano) nel deserto per essere messo alla prova. Egli fu come preso per mano dallo Spirito in questo itinerario, alla maniera del popolo di Dio quando uscì dall’Egitto. Fu condotto, ma non fu lasciato solo. Dio ricordava a Israele: “Vi ho sollevato su ali di aquila e vi ho fatto venire a me” (Es 19,4). Il deserto è, nella Bibbia, un luogo di tentazione, di minaccia, ma anche di intimità con Dio, fuori del chiasso della società. Ricordando l’esperienza del deserto, Dio diceva: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quaranta anni. Il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato. Come un padre corregge un figlio, così il Signore tuo Dio corregge te” (Dt 8,2.4-5).
Dio non abbandona un suo figlio in potere del diavolo. Per quanto sia grande la forza suggestiva della tentazione, non potrà mai togliere del tutto all’uomo la responsabilità delle sue scelte. Del resto il cristiano può contare su questa rassicurazione: “Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla” (1 Cor 10,13). Il racconto è strutturato come una discussione, un dibattito tra il diavolo e Gesù condotti sul filo di citazioni bibliche: tre citazioni le troviamo sulla bocca di Gesù e una su quella del diavolo. Questo sta a dire che in discussione è la volontà di Dio diversamente interpretata. Solo Gesù poté raccontare un episodio del genere: nessun cristiano si sarebbe sognato di immaginare il Signore in balia del diavolo. Gesù ha raccontato qui la sua esperienza rivestendola di immagini, facendone un piccolo dramma di azione, alla maniera delle parabole che sapeva narrare. Così l’ha resa più interessante e istruttiva.
Tutto dovette svolgersi però nell’intimo della sua coscienza, in tempi anche diversi. Ci ha detto così che non fu facile nemmeno per lui, come uomo autentico, capire e scegliere volta per volta la volontà del Padre. Egli fu tentato fin sulla croce. Le immagini che usa le ha ricalcate sulle tentazioni vissute dal suo popolo durante la traversata del deserto. Il deserto è infatti il luogo dove sono ambientate, e ad esso rimandano, le citazioni bibliche utilizzate, tutte ricavate dal libro del Deuteronomio. Le citazioni tracciano come una lettura a ritroso di quel libro e riguardano la tentazione della fame, che Dio saziò con la manna piovuta dal cielo (Dt 8,3), la tentazione della sete che Dio estinse con la sorgente miracolosa di Massa e Meriba (Dt 6,16), la tentazione dell’idolatria che si concluse con la distruzione del vitello d’oro (Dt 6,13).
Qui però esse assumono un significato nuovo, perché diventano piuttosto tentazioni messianiche. Gesù ha dovuto farsi strada nella selva delle aspettative del suo ambiente. Gli ebrei attendevano un Messia che ripetesse i prodigi dell’Esodo, per assicurare benessere al suo popolo; attendevano un Messia che compisse segni spettacolari dal cielo per accreditarsi agli occhi della gente; un Messia che fondasse un impero divino, più grande e più duraturo di quello romano esistente. Gesù ha rifiutato di impostare la sua vita, e di conseguenza quella dei cristiani, su queste false prospettive umane. Nel deserto, pur affamato, egli ha rifiutato per sé e per noi la ricerca schiavizzante del benessere materiale ad ogni costo, la rincorsa sfrenata alla soddisfazione degli istinti umani, la sete di guadagno e l’idolatria del denaro.
Sul pinnacolo (da pinnetta: l’ala del tempio che si protendeva sulla valle del Cedron ad una altezza di 80 metri) ha rifiutato di servirsi di Dio e ha scelto di servire Dio, con umiltà, con fiducia, con amore, senza pretese, senza forzature magiche e spettacolari. Sul monte (forse quello della Quarantena sopra a Gerico) ha rifiutato il potere e la ricchezza che gravano sulle spalle dei poveri, ha scelto il servizio umile e amoroso degli ultimi, fino a dare la sua vita. Per la sua vittoria sulla tentazione, poteva dire a se stesso e a noi: “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18,36) e tracciare così il programma della sua Chiesa: “Colui che vorrà diventare grande tra voi, si faccia vostro servo (diakonos), e chi vuol essere il primo si faccia vostro schiavo (doulos), come il Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”.