Il racconto dei dieci lebbrosi sanati si trova soltanto nel Vangelo di Luca. È strutturato in modo facile, e ne possiamo ancora oggi riconoscere la trama: nella prima parte (Lc 17,11-14) si assiste alla preghiera dei dieci uomini e alla risposta di Gesù, con l’invito ad andare a presentarsi ai sacerdoti. Nell’ultima (17,19) Gesù di nuovo si rivolge ad uno dei lebbrosi mondati, quello “salvato”. Al centro (17,15-18) la scena dell’unico lebbroso che torna a ringraziare. Solo apparentemente però abbiamo a che fare con un semplice racconto di miracoli. A ben guardare, gran parte del nostro brano è dedicato all’insegnamento che da questo miracolo scaturisce. C’è infatti un fine gioco semantico legato alle parole, dove le sfumature di senso sono molto importanti. Le mettiamo in evidenza. Distanza e vicinanza. Chi tornerà a ringraziare Gesù di Nazaret è uno che per definizione è “lontano”. Lo è perché lebbroso, ma anche perché straniero.
I lebbrosi, come sappiamo, secondo le indicazioni della Legge dovevano tenersi a debita distanza dalla società: non potevano entrare in centri abitati e dovevano gridare il loro stato per evitare di contagiare i sani: “Il lebbroso colpito dal male porti i vestiti laceri e i capelli scarmigliati, si copra il labbro superiore e gridi: Impuro, impuro” (Lev 13,45). Il testo lucano sottolinea il dramma dei questi uomini: vanno incontro a Gesù ma si fermano a distanza (cfr. Lc 17,12). Il lebbroso samaritano, insieme agli altri, grida però parole di preghiera: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!”. E ciò che più conta, si avvicina a Gesù. I verbi che indicano il movimento verso di lui sono molto accentuati: dopo la guarigione, il lebbroso “tornò indietro” (Lc 17,15) e “si gettò ai suoi piedi” (17,16). Anche Gesù sottolinea l’accaduto usando un verbo di movimento verso: “Non si è trovato chi tornasse indietro?”.
Paradossalmente chi era il più lontano dalla salvezza (un samaritano) si è avvicinato al Signore Gesù. Ogni distanza è stata colmata. Guariti, sanati, salvati. Tre verbi invece hanno a che fare particolarmente con lo stato fisico e spirituale del lebbroso samaritano: si trovano al v. 14 e 17 (“mondare-purificare”; la traduzione Cei confonde, ma al v. 17 si ha lo stesso verbo del v. 14, katharizo: “purificare, pulire, rendere puro, dichiarare puro”; Balz-Schneider); 15 (“guarire”). Improvvisamente all’ultimo versetto del brano (17,19) compare la parola-chiave, il verbo più forte di tutti, “salvare”: “la tua fede ti ha salvato”. È chiaro che Luca qui è molto attento a non confondere le parole, e anche noi dobbiamo rispettare l’acribia semantica di questo Vangelo: tutti sono stati mondati, liberati dalla lebbra, guariti dalla malattia: ma uno solo è salvato. Perché? Vedendosi guarito.
Esiste una differenza tra il riconoscersi guarito e il non accorgersene: Luca insiste su questo, scrivendo che il lebbroso samaritano, “vedendosi guarito”, tornò indietro a ringraziare. Colui che torna indietro ha riconosciuto il senso di quanto gli era accaduto. Riconoscere il senso delle cose, capirne la trama, ringraziare per la salute o accettare la malattia: questi sono gesti di fede. Per fede il lebbroso sanato vede la realtà in modo diverso da prima. Non solo la esperisce, con il fatto di non avere più le piaghe (ma di questo se ne saranno accorti anche gli altri nove): la capisce. Come gli altri sa di essere mondato, ma trova il tempo per riflettere su quanto accaduto. Nel nostro mondo postmoderno, invece, siamo continuamente messi in scacco dalla realtà, che non riusciamo quasi più a comprendere, perché cambia in continuazione, e questo spesso ci provoca ansia e smarrimento. E non abbiamo mai il tempo per fermarci a riflettere sul senso di quello che ci accade. “Non si è trovato chi tornasse (indietro) a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?” (Lc 17,18).
Rendere gloria a Dio: questo è ciò che ha salvato il lebbroso. Che non ha fatto nulla di speciale, non ha pagato chissà quale somma o ticket, non ha acquistato alcun regalo per contraccambiare, ha solo detto grazie, e l’ha detto a Dio. È Gesù stesso a chiarircelo, lui che è il “canale” per giungere a ringraziare Dio: il lebbroso pensava di dire grazie ad un “maestro” (Lc 17,13), ma Gesù dice che chi si avvicina a lui restituisce ogni gloria direttamente al Padre. Tutti stranieri ma graziati. Anche noi siamo come il samaritano lebbroso. Anche noi eravamo distanti da Dio, esclusi dalla Legge e dalla salvezza. Così scrive L.T. Johnson, nel commentario su Luca recentemente pubblicato per la serie Sacra Pagina (Elledici 2004), collegando il Vangelo di oggi a quello della domenica passata: “L’episodio si rifà alle istruzioni impartite ai discepoli: anch’essi erano tutti degli emarginati come il samaritano; sono stati tutti perdonati, purificati, guariti. Non possono assumere un altro stato che non sia quello di coloro che sono stati graziati”.