La Cina è vicina, l’Europa meno

l'editoriale

Si sapeva già da tempo. I commentatori politici l’hanno ripetuto, il voto elettorale lo ha confermato: l’Europa è ancora lontana. I grandi ideali, i progetti epocali come quello della costruzione dell’unità europea rimangono nella mente e nel cuore di pochi idealisti e sognatori. La storia dell’Unione europea ne è una testimonianza anche se, grazie a Dio, ha trovato anche alcuni importanti varchi nella concreta prassi politica. L’Europa dei 27, la moneta unica e il Parlamento appena eletto – sia pure con una scarsa partecipazione, ma da non sottovalutare – rappresentano risultati apprezzabili. Non siamo al grande sogno di Giovanni Paolo II di un continente che respira appieno con i suoi ‘due polmoni’, additati in prospettiva dopo il crollo del comunismo, per il quale Karol Wojtyla ha operato in modo decisivo. L’arcivescovo Dziwisz ha raccontato che, al ritorno dalla Polonia dopo il primo viaggio in patria, giusto trenta anni fa (2-10 giugno 1979, quando era ancora sotto il regime comunista), spossato, dormì 14 ore di seguito. Aveva fatto uno sforzo titanico. La dormita risulta giustamente storica come la visita. Un’Europa come è stata sognata da lui scalda il cuore e genera energie di rinnovamento. Da personaggi simili, convinti che l’Europa sia un’idea cristiana, sono nate iniziative capaci di contagiare il mondo. Sono passati vent’anni dal 1989, quando, pochi mesi prima della caduta del muro di Berlino, i cristiani europei delle varie famiglie confessionali – cattolici, evangelici e ortodossi – si incontrarono per darsi la mano e impegnarsi seriamente a operare insieme per la giustizia la pace e la tutela del creato. Un ambizioso progetto che si è rinnovato nelle successive Assemblee dei cristiani europei a Graz in Austria (1995) e a Sibiu in Romania (2007). Quando in ambito culturale e della coscienza collettiva emergeranno questi ideali di largo respiro, si potrà sperare che anche la prassi politica acquisti dignità ed efficacia che troppo spesso non ha.Altrimenti dobbiamo accontentarci di una politica del puro calcolo, rivolto al profitto economico o di potere o di natura ideologica, indifferente verso il ‘bene comune’, che privilegi interessi nazionali o di lobby. Gli elettori, evidentemente, ne risentono e si agitano solo per liti di quartiere. C’è un risveglio d’impegno e attenzione quando si fiuta un affare o si teme un pericolo immediato. E’ successo in anni recenti ad esempio verso la Cina, divenuta vicina e oggetto d’interesse, non per i diritti civili o per protestare, contro la repressione di Piazza Tienammen di 20 anni fa (ancora 1989) quando sembra siano state uccise 20 mila persone (giovani in rivolta), ma per la sterminata potenzialità del suo mercato. E l’affare più redditizio, duole dirlo, per gli Usa, la Russia e i grandi dell’Europa è il mercato delle armi. Ho letto che, a fronte della crisi economica e finanziaria attuale, non c’è alcuna crisi nel commercio delle armi. Nel 2008, secondo un’agenzia indipendente di Stoccolma, le spese militari nel mondo sono cresciute del 4%, con la cifra di 1.464 miliardi di dollari (oltre 900 miliardi di euro). Nel settore areonautico, si registra una diminuzione della produzione di aerei ad uso civile rispetto a quello da guerra. Altro che Europa! Si potrebbe dire per paradosso semplificando che per i politici la Cina è vicina, l’Europa meno.

AUTORE: Elio Bromuri