Ventisettemilatrecentosettantacinque pasti in un anno. Scritto in lettere il numero rende visivamente la lunghezza, o meglio la lunga successione dei 75 pasti che vengono consumati per 365 giorni l’anno nella mensa “San Lorenzo” gestita dalla Caritas diocesana di Perugia – Città della Pieve in collaborazione con il Comune di Perugia.
Ogni giorno i volontari Caritas accolgono e condividono il pasto con le persone che non possono permetterselo (segnalate dai Servizi sociali del Comune o dalla stessa Caritas). Considerando una media di quattro volontari al giorno presenti per un paio d’ore abbiamo duecentodiciannovemila ore di “lavoro” gratuito fatto, in realtà, di servizio, ascolto, aiuto, amicizia …
Perché siamo qui a scrivere questi numeri? Perché il Il Corriere dell’Umbria martedì scorso ha dato spazio all’intervento di Carla Spagnoli, presidente del Movimento per Perugia che chiede alla Chiesa umbra, o meglio perugina, di fare … quello che già abbondantemente fa: accogliere chi non ha un letto e dar da mangiare a chi non ne ha, e lo fa con tono perentorio sia nel titolo che nel testo (titolo: “Clochard lasciati al gelo, dov’è la Chiesa umbra?”; “Basta parole, la Chiesa aiuti concretamente i poveri, perché ne ha il potere e le possibilità economiche e di gestione!” scrive la Spagnoli).
Il fatto è che un buon politico dovrebbe conoscere quello che la Chiesa perugina fa non solo con la mensa ma anche con i quattro Empori della Carità che in questa diocesi aiuta migliaia di famiglie a vivere dignitosamente e a mettere in tavola un pasto caldo ogni giorno. Dovrebbe sapere che tutto questo è frutto della carità di una moltitudine di persone che ci mettono tempo o soldi o entrambi, moltissime delle quali non si possono certo definire ricche e forse neppure benestanti. E dovrebbe anche sapere che non da oggi la Chiesa perugina offre un letto a chi non lo ha (l’Ostello-Centro d’accoglienza di via Bontempi negli anni ’70 è stata la prima e per molti anni è stata anche l’unica struttura ad ospitare gratuitamente chi non sapeva dove dormire).
È vero, tutto si può fare meglio e tutti potremmo fare di più.
Tutti, anche i politici il cui compito dovrebbe essere quello di lavorare per il Bene comune, per fare della carità non una azione di un singolo ma un sistema di solidarietà di tutta la comunità civile.
Ma infine resta una domanda: che sia questo un caso di quella “post-verità” di cui tanto si parla per dire di una comunicazione in cui i fatti verificabili contano meno dell’“effetto che fa”?