Il sostentamento del clero non è un “diritto acquisito” bensì è dovuto a fronte della “missione che si svolge nella Chiesa e su indicazione della Chiesa, sotto il discernimento del vescovo”. Se, da una parte, “dobbiamo riconoscere con onestà il fallimento del sistema di contribuzione volontaria, legato alle offerte deducibili”, dall’altra va ripensata la gestione degli Istituti diocesani di sostentamento del clero (Idsc): troppi rappresentano un peso che non dà benefici. È un’analisi senza mezze misure quella che il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, ha proposto a Roma in apertura del convegno nazionale Idsc sul tema “Seminare fiducia per crescere insieme. L’amministrazione del patrimonio agricolo”.
Il segretario generale ha innanzitutto messo in guardia dalla deresponsabilizzazione: il sistema di sostentamento “ha contribuito a eliminare tante discriminazioni”, ma “può essere una strada verso la deresponsabilizzazione”, ponendo “sullo stesso piano chi lavora e chi preferisce fare altro”. “Non se ne ha diritto in quanto membri del clero”, ha chiarito, ricordando come “il congruo e dignitoso sostentamento” sia dovuto a fronte di “un servizio alla diocesi in forma non occasionale, ma a tempo pieno”.
Inoltre, ha messo in luce un nodo critico legato agli stessi Istituti, o perlomeno a “un numero significativo” di essi (“almeno un centinaio”) che “da un punto di vista economico e ‘aziendale’, semplicemente non si giustifica: hanno costi che non coprono i ricavi o che li intaccano in maniera sostanziale. Si trovano a gestire un patrimonio scarso o comunque non sufficiente per un’adeguata e ragionevole redditività… In questo modo diventano una spesa e non un apporto per il sistema”.
Ed è proprio da qui che Galantino delinea una ripartenza, avendo chiaro che “la prima cosa che ci è chiesta è una ‘buona amministrazione’, secondo parametri di puntualità, precisione e trasparenza che vanno perseguiti con responsabilità e quindi con costanza”. Sì, perché non si può “andare a chiedere il contributo liberale del fedele, se non abbiamo prima fatto fino in fondo la nostra parte nell’amministrare responsabilmente i beni che ci sono stati affidati”.
L’orizzonte “verso il quale muoversi” chiede di “ragionare per comunione d’intenti e non per autarchie, destinate queste ultime a risolversi in terreni incolti e in orticelli infruttuosi, che rivelano carenza proprio di senso di Chiesa”. Così, se “nella gestione del patrimonio finanziario è doveroso individuare modalità per impedire la distruzione di valore, per ridurre il rischio e per aumentare il rendimento, arrivando ad attivare e sperimentare investimenti di tipo etico”, è pure necessario razionalizzare le risorse e accorpare Uffici troppo piccoli per produrre frutti da soli.
“Riduzione razionale delle spese, federazione di servizi comuni” ed “efficienza” sono gli obiettivi, perseguibili creando Istituti a carattere interdiocesano, come già esistono in alcuni casi. “L’autonomia giuridica degli Istituti diocesani è senz’altro un valore”, ha chiarito Galantino, ma non sia mai “una giustificazione che porti a frenare i passi per una loro diversa impostazione, un’organizzazione meno frazionata e frammentata, un riassetto che sul territorio faciliti un loro accorpamento, perlomeno nella parte gestionale. In fondo – ha concluso – si tratta di attivare quelle forme di collaborazione che, in un respiro di Chiesa, dovrebbero essere normali”.
Infine, l’importanza dell’opinione pubblica, specialmente per far conoscere ciò che la Chiesa realizza grazie ai contributi che le arrivano con l’8 per mille. La previsione per il 2015 – ha rilevato mons. Galantino – “parla di una significativa riduzione del dato percentuale” (dall’82,28 all’80,27%) delle firme a favore della Chiesa. “Questa realtà ci impegna a trovare modalità per accrescere nell’opinione pubblica – a partire dagli stessi sacerdoti – una nuova sensibilità”.
La trasparenza, inoltre, permette di “rispondere a testa alta anche a un’opinione pubblica particolarmente attenta e sensibile” circa la “rigorosa e rispettosa gestione del patrimonio” affidato alla Chiesa.
Non funziona la contribuzione volontaria
Per mons. Galantino siamo di fronte al “fallimento del sistema di contribuzione volontaria, legato alle offerte deducibili”. Gli ultimi dati disponibili (anno 2013) “le quantificano nella misura definitiva di 11.252.000 euro, con un decremento rispetto all’anno precedente di 586.000 euro, pari a un -4,9%”. E intanto sono 377 milioni di euro i fondi dell’8 per mille usati nel 2014 per “superare l’impossibilità dei singoli Istituti a dare una congrua remunerazione ai propri sacerdoti”. Un dato – dovuto in parte anche alla “persistenza delle difficoltà economiche” per le famiglie italiane – che crea “sconcerto” non tanto per l’aspetto economico, quanto per l’esilità di “quell’appartenenza ecclesiale che l’introduzione di tale forma di solidarietà intendeva esprimere e promuovere”. La contribuzione volontaria, ha rimarcato il segretario della Cei, “è un segno concreto della sensibilità della gente, dei fedeli verso un servizio che compiono la Chiesa e i sacerdoti”.