Nei commenti che si sono sviluppati nei giorni scorsi sulla tragica scomparsa di Meredith, la ragazza inglese che si trovava a Perugia per il progetto Erasmus, si sono dette molte cose. Era inevitabile, tanta è stata l’emozione e lo sdegno per un delitto così efferato, per le motivazioni che si suppone lo abbiano provocato, per il contesto internazionale e giovanile, per la città in cui è avvenuto, per la risonanza che ha avuto a livello mondiale. È come se si fosse levato il velo di maya, quello dell’apparenza e fosse rimbalzata allo sguardo sgomento l’orribile realtà del male crudele e banale. Non c’è niente in esso di quegli aspetti letterari di cui si legge o si discetta in aule o salotti televisivi. Un fatto squallido e brutale di cronaca e basta. C’è invece, in esso, qualcosa di quella sregolatezza superficiale e volgarità in cui è precipitato il vivere quotidiano di molti, in cui si è perduto il senso e la dignità dell’esistere, dell’amare, dell’avere relazioni di amicizia e, di conseguenza, il rispetto per le persone e le cose. Si è smarrita la via, contraffatta la misura, offuscato lo sguardo e non si avverte il sole che dà vita e forma agli esseri all’intera creazione. La nebbia impedisce di incontrare il volto e lo sguardo delle persone, osservate piuttosto nei caratteri secondari di maggiore evidenza e di inconfessato richiamo. Dagli eccessi delle orge notturne, dallo sfregio sui palazzi e in monumenti, dalle manifestazioni di violenza delle curve degli stadi, dal turpiloquio becero e arrogante diffuso anche tra professionisti, dalle bestemmie che rimbalzano dai tetti dei muratori, dalla strizzata d’occhi furbescamente ammiccante di politici in cerca di consenso, non emergono all’attenzione dei giovani messaggi positivi. Mettiamo nel conto anche la dichiarata tolleranza per le droghe, cosiddette leggere, il qualunquismo sessuale per cui tutto è possibile e, perché no? già che ci siamo, la pubblica farsa dello sbattezzo. Non entriamo poi a descrivere quella scuola che propongono le reti televisive di ogni appartenenza con alcuni loro programmi e il bombardamento di inviti alla trasgressione rivolto a chi entra nel Web, nella rete di internet. Non è tutto così, evidentemente. C’è l’altra metà della realtà, grazie a Dio. Ma c’è un’aria che si respira ce non giova alla crescita umana, personale e professionale della gioventù. Questa ha bisogno di idee forti e chiare, di prospettive di vita, di ideali, di fede, di pulizia, di trasparenza. Queste cose le scrivo all’ombra del ricordo di Antonio Rosmini, che domenica viene dichiarato beato, un filosofo posto sugli altari che ha fatto cose stupende nella sua vita, compresa la fondazione di un Istituto della carità. Una rivista di spiritualità rosminiana da più di ottanta anni viene pubblicata con il titolo Charitas. Ma, a mio avviso, la carità più importante che egli ha fatto nel suo tempo e successivamente a coloro che lo hanno letto e studiato, è stata la ‘carità delle idee’. I molti insegnanti di storia e filosofia nei licei in genere non lo mettono in programma, preferendo autori di orientamento positivista e marxiano e fanno male,perché le idee di Rosmini danno respiro all’anima, aprono orizzonti sull’armonia e gerarchia degli esseri e il rispetto che ad essi è dovuto, commisurando l’amore all’essere secondo una scala che giunge all’infinito ideale. Un’idea, anche una sola, piena di luce, che penetra nel profondo dell’anima, in questo tempo di complessità e confusione, può salvare una vita.
La carità di un’idea
AUTORE:
Elio Bromuri