“Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate”: con queste parole inizia la I Lettura introducendo il tema della gioia che emerge nella Liturgia della Parola della XIV domenica del Tempo ordinario.
Prima lettura
Il brano è tratto dal capitolo conclusivo del profeta Isaia, capitolo che centralizza l’interesse per la città santa, Gerusalemme, soprattutto per la sua ricostruzione dopo l’esilio babilonese.
L’invito a rallegrarsi è quindi esplosivo perché Gerusalemme assiste al ritorno dei suoi figli e della gloria del Signore nel suo Tempio (che sarà inaugurato nel 515 a. C.). Ecco allora le espressioni dai toni consolatori e materni che fanno di questa pagina una tra le più belle di Isaia e, soprattutto, il motivo (che ancora oggi auspichiamo) del riversarsi su Gerusalemme della “pace” in modo impetuoso e copioso come “un fiume”.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro del profeta Isaia 66,10-14cSALMO RESPONSORIALE
Salmo 65SECONDA LETTURA
Lettera di Paolo ai galati 6,14-18VANGELO
Vangelo di Luca 10,1-12.17-20
Salmo
Il Salmo 65 con cui rispondiamo è in linea con il tono di gioia e con la visione universalistica della I Lettura. È un inno di ringraziamento proposto in un contesto inequivocabilmente pubblico e cantato da un Autore per conto della comunità.
Vengono infatti ricordati i due interventi del Signore a favore del popolo al momento del passaggio del mar Rosso e dell’attraversamento del fiume Giordano: ricordare questi eventi è un atto di fede che, secondo l’indole semitica, si fonda proprio sul riconoscere concretamente i prodigi divini (“venite e vedete le opere di Dio”) per i quali il Salmista invita ad esultare di gioia.
Seconda lettura
Nella II Lettura ascoltiamo la parte finale della Lettera ai Galati dove l’apostolo Paolo, che sta ancora rispondendo a quanti intendevano fuorviare i credenti in Cristo, a sigillo dell’autorevolezza del suo scritto non pone se stesso, ma la croce di Cristo. La croce di Cristo è il suo “vanto” ed è impressa nel suo corpo.
Paolo arriva infatti a dire “io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo”, espressione che ha condotto gli studiosi a ipotizzare che i numerosi patimenti vissuti a favore dell’evangelizzazione gli abbiano compromesso gravemente il fisico (2 Cor 4,8-10; Col 1,24) oppure che egli abbia avuto il dono di partecipare misticamente alle sofferenze fisiche di Cristo.
Certo è che in virtù della sua esperienza, Paolo auspica che i destinatari non si facciano più influenzare dall’esteriorità rituale (circoncisione), ma accettino di essere “nuove creature” mediante la fede in Cristo crocifisso e risorto, dal quale solo si ottiene pace, misericordia e grazia.
Vangelo
La pagina del Vangelo secondo Luca è tratta dall’inizio del capitolo 10, capitolo che ci guiderà anche le prossime domeniche. C’è subito un dettaglio numerico che l’evangelista ci fornisce: 72 discepoli inviati a due a due.
Il numero due che l’Autore riporta anche nell’altra sua opera degli Atti, indica la necessità, e la prudenza, di non essere soli ma di collaborare con il reciproco appoggio a favore dell’evangelizzazione. Il numero 72 si rifà al numero delle popolazioni conosciute (Gen 10 LXX) e quindi alla totalità delle genti (non solo gli israeliti) a cui sarebbe dovuto arrivare l’annuncio evangelico.
L’invio dei 72 è accompagnato dall’invito a pregare perché il Signore “mandi operai nella sua messe”, come a dire che la missione non è frutto di un’iniziativa personale ma la risposta ad una chiamata del Signore a cui liberamente e consapevolmente aderisce il discepolo.
Poi Gesù fa subito presenti le ostilità cui andranno incontro (lupi), l’esigenza di essere semplici e confidare nella provvidenza (né sacca né sandali) e l’urgenza di non sprecare tempo (saluti) fermandosi per strada a salutare cerimoniosamente quanti si incontrano per via, come è tradizione fare alla maniera orientale. Il vero saluto deve essere piuttosto l’augurio di pace (“Pace a questa casa”).
Il seguito del discorso vuole che Gesù ripeta per due volte il suggerimento di mangiare quanto viene offerto loro: difficile da fare per i credenti provenienti dal giudaismo abituati a osservare le regole alimentari proprie (kosher), ma questa insistenza di Gesù è uno dei segni dell’apertura del messaggio evangelico ai pagani.
La conclusione della narrazione è un epilogo felice in quanto, di ritorno dalla missione, i 72 testimoniano gioiosamente di aver sconfitto il male (“anche i demoni si sottomettono a noi”), e l’evangelista Luca descrive questa vittoria ‘esorcistica’ attraverso l’immagine della caduta del fulmine dal cielo, unico motivo nel NT e che ricorda un brano profetico (Is 14,12) in cui la liberazione dalla schiavitù esilica è anticipata dalla caduta di un astro dal cielo (identificato con Lucifero).
L’entusiasmo dei 72 è tuttavia frenato un po’ da Gesù che intima gli stessi a rallegrarsi piuttosto nel sapere d’essere destinati all’eternità (“i vostri nomi sono scritti nei cieli”).
Anche a noi oggi giunge questa provocazione: la tendenza a sentirci soddisfatti nelle occasioni in cui le iniziative pastorali riescono ed hanno un seguito non riesce ancora a raggiungere lo scopo! La gioia deve provenire piuttosto dall’onestà di aver fatto di tutto a favore dell’instaurazione del regno dei Cieli e dalla certezza che per Sua grazia ne facciamo già parte noi stessi.
Giuseppina Bruscolotti