In questi giorni la diocesi di Foligno ha promosso molto opportunamente un convegno di studi su mons. Michele Faloci Pulignani nel settantesimo anniversario della sua morte. Fu uomo e prete controverso, forse l’ecclesiastico umbro più colto e instancabile nel suo tempo, ed anche uomo di grandi meriti culturali e sociali, oltre i confini della Chiesa. Lo hanno definito giustamente “uomo di Chiesa prestato alla storia”; e come uomo di Chiesa, testimone sulla sua pelle del progressivo degrado religioso a cavallo dei due secoli, si chiedeva: “Che avverrà di una nazione educata senza Dio?”. Era questione che intrigò anche i Papi: sia Leone XIII, che per la rievangelizzazione puntò, in un mondo di analfabeti, sulla pietà popolare, ed anche, profeticamente, sul recupero della autentica dignità umana e cristiana del lavoro, della cultura, della stessa politica; sia Benedetto XIV, Pio XI, Pio XII sino al Concilio Vaticano II, che puntarono decisamente su un’esperienza di ricominciamento come quello dell’Azione cattolica, chiamata ad una seria articolata prolungata formazione cristiana dei suoi membri e alla collaborazione con vescovi e parroci nell’apostolato. Oggi l’interrogativo del monsignore folignate va ulteriormente potenziato, perché la secolarizzazione non ha solo interessato frange marginali della comunità cristiana, ma parti rilevanti di essa, visto l’espandersi di quella dittatura culturale del relativismo e sue propagginazioni in ogni contesto sociale, che il profeta biblico rimproverava come umiliazione delle speranze del povero già solo con l’affermare con spocchia: “Dio non c’è!” (cfr. Salmi 14 e 53); e se Dio non c’è, allora chi mai farà giustizia per gli innumerevoli “vinti della storia? Ma, forse, a pesare ancora di più, condizionando soprattutto i giovani, c’è un aspetto non meno inquietante del problema: e cioè domande del genere oggi non interessano granchè. Immersi come siamo nel vuoto di senso, non ci poniamo più questi o simili interrogativi, e soprattutto ai giovani viene a mancare l’appetito del sapere. Trattandosi d’un atteggiamento innaturale di indifferenza verso la verità, a nostro giustizio non potrà durare a lungo, e il bisogno della ricerca sui “perché” e sui “come” della vita tornerà a farsi vivo. Relativamente ai giovani, poi, gli analisti mostrano fiducia, e non vogliamo negar loro il credito necessario. Comunque è con questa indifferenza verso l’orizzonte religioso della vita che occorre oggi fare i conti, più ancora che con l’acredine verso i contenuti. Sia Papa Giovanni Paolo II che Papa Benedetto XVI hanno orientato decisamente i passi della Chiesa sulla direttrice della nuova evangelizzazione, che è prima di tutto la riscoperta della novità radicale del battesimo e della umanizzazione che ne deriva. Ed a proposito della indifferenza verso lo stesso orizzonte umano della vita (si pensi alle assurde ostilità di questi giorni, sia in Italia che in Europa, chiamate dalla forza degli eventi ad un “esame di umanità” verso chi fugge dalla fame, dalla guerra, dalla lucida rabbia dei dittatori , e cerca un aiuto in Paesi di tradizione cristiana…), mi piace segnalare che Papa Benedetto ha ricordato, nella sua Deus caritas est (n. 24), il caso dell’imperatore Giuliano l’Apostata che, restaurando nell’Impero romano la religione pagana, volle che si prendesse esempio dalla attività caritativa dei “galilei” (e cioè dei cristiani), emulandola e superandola, tanto la riteneva determinante per la identità della sua nuova società. Impariamo almeno da Giuliano l’Apostata!
Interrogativi sempre attuali
Parola di Vescovo
AUTORE:
† Giuseppe Chiaretti