Influencer e censura

Parecchi anni fa ebbe successo un libro dell’americano Vance Packard – pubblicato in edizione italiana nel 1958 – che spiegava le astuzie e i segreti degli autori dei messaggi pubblicitari: come riescano a suggestionare la gente in modo che vada a comprare cose di cui non ha bisogno. Il libro era intitolato I persuasori occulti. Oggi la pubblicità ha fatto progressi enormi: i persuasori non sono più occulti, ma anzi riconosciuti e applauditi.

Sono detti influencer e sono quelli che mettono in giro sui social la loro fotografia con un paio di scarpe, e subito frotte di persone vanno ad acquistare le stesse scarpe. Per me è un mistero come abbiano tutto questo potere e come ci guadagnino un sacco di soldi, ma le cose vanno così. Uno dei più grandi influencer è un cantante che si fa chiamare Fedez, e ha per moglie una signora che come influencer guadagna ancora più di lui.

Complimenti. Adesso buona parte dell’Italia è in rivolta contro la Rai perché, dicono, avrebbe tentato – senza riuscirci – di “censurare” Fedez in occasione del Primo Maggio. Avrebbero cercato di dirgli che era stato ingaggiato per fare uno spettacolo, non per fare un comizio. Vero o falso che ci sia stato questo tentativo, a me pare che non si possa usare la parola censura.

Fedez è l’uomo meno censurato d’Italia. Diffonde le sue opinioni giorno e notte su tutto quello che vuole, raggiungendo milioni di seguaci entusiasti (adesso si chiamano followers).

Non aveva bisogno del palco del Primo Maggio per dire la sua sul progetto di legge contro l’omofobia.

Sia chiaro che qui non voglio prendere posizione pro o contro il disegno di legge Zan (l’argomento è complesso) né mettere in dubbio la libertà di Fedez o quella di chi la pensa diversamente da lui. Mi sta a cuore che ci sia onestà intellettuale e rispetto reciproco di tutti verso tutti.

Se al posto di Fedez ci fosse stato un altro, e avesse detto il contrario di ciò che ha detto lui, allora tutti quelli che adesso accusano la Rai di censura la accuserebbero, invece, di non avere zittito il “sacrilego”. E questa non è onestà intellettuale.