di Roberto Contu
I fatti di Palermo sono grossomodo noti a tutti: in un istituto tecnico, alcuni studenti quindicenni preparano autonomamente un lavoro multimediale per la Giornata della Memoria. Nella presentazione, secondo la ‘vulgata’ (ma inviterei chiunque a visionare per intero il video in Rete per farsi un’idea propria), il Decreto sicurezza dell’attuale Governo verrebbe accostato alle leggi razziali del 1938.
Qualcuno fotografa e denuncia il tutto con un tweet al Ministro, l’immagine rimbalza in Rete, alla fine interviene con parole perentorie il sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni. Parte un’ispezione ministeriale, la professoressa viene in breve tempo sospesa per quindici giorni dall’attività didattica, a stipendio dimezzato. Il caso, complice anche il periodo pre-elettorale, muove in modo significativo il dibattito politico; a riguardo vengono proposte analisi articolate; la scuola, l’università, il mondo della cultura si compattano a favore dell’insegnante.
La sgrossatura
Cosa aggiungere di significativo alla discussione, da docente che ogni giorno vive la classe? Almeno tre considerazioni, per quanto mi riguarda. La prima e più importante è il rimarcare come lo specifico della questione non sia quanto (ingenuamente o meno) scritto dagli studenti, quanto l’avere messo sotto tutela la ragione stessa del processo educativo.
A scuola quotidianamente gli studenti producono grossolanità che poi l’insegnante e la classe rielaborano e sgrossano insieme. Materia prima della vita di classe è proprio l’approssimazione, che l’insegnante educa a governare. Di contro, se tutto questo viene messo sotto tutela esterna, vacilla il presupposto stesso della funzione educativa.
Per esperienza, quando a scuola ho dato parola agli studenti, ho visto passare sulla Lim di tutto: dai Protocolli dei Savi di Sion ai rapporti del nazismo con gli Ufo. Ma ciò che mi è sempre premuto e sempre ho difeso è stato il prima e il dopo. Il prima, nel quale gli studenti hanno messo in moto, spesso sgraziatamente, la propria facoltà di pensare e cercare. Il dopo, nel quale si è riflettuto insieme proprio a partire da quella materia grezza e sgraziata da loro prodotta che io, per mandato, ho il compito di aiutare loro a definire.
Qualsiasi insegnante capisce questo, perché lo vive ogni giorno, perché è il cuore pulsante stesso della dialettica educativa, e proprio e anzitutto per questo quanto è successo è grave.
Quale “culpa”?
La seconda considerazione ha invece a che fare con l’accusa mossa alla docente a partire dal principio della culpa in vigilando, che nella realtà attiene le eventuali omissioni da parte del personale docente in merito all’incolumità fisica degli studenti.
In questo caso il principio è stato dirottato sull’ipotetica omissione della collega nella vigilanza sull’attività critica e di pensiero dei propri alunni, che nei fatti hanno tentato di mettere in pratica (a modo loro, certo) quel lavoro di ermeneusi del sapere che è alla base dello stesso a stare a scuola (e per altro alla base anche della recente attenzione ai temi di cittadinanza e Costituzione) con risultati che, ripeto, poi l’insegnante e la classe avrebbero di certo rielaborato e forse anche criticato insieme.
Il Ministro sbagliato
La terza considerazione ha infine a che fare con il passaggio di quell’elefante che è la propaganda in quella cristalleria che è il luogo seminale del nostro futuro, ovvero la scuola. Passi la gravità del gesto di chi ha colpevolmente decontestualizzato un momento di vita scolastica attraverso il furto delle immagini; passi l’impropria e del tutto anomala catena di gestione della procedura disciplinare… ma che c’entra il protagonismo assoluto (fino all’ambigua proposta pacificante) del ministro dell’Interno in una vicenda che, nei fatti, avrebbe dovuto essere di totale competenza del ministro dell’Istruzione?
Sono questi solo alcuni degli aspetti che questo episodio ha messo in gioco – ce ne sarebbero molti altri. Aspetti che hanno a che fare con la ragion d’esser stessa dell’istituzione scolastica, che è di tutti e che quindi riguarda il futuro di noi tutti.