Già nel lontano 1954 Peter Drucker, uno dei massimi guru del management del secolo scorso, scriveva: “Ogni impresa ha due – e solo queste due – funzioni fondamentali: il marketing e l’innovazione”. La Perugina negli anni ’70 identificava i due valori-guida della cultura aziendale proprio su queste due funzioni. Fu infatti una delle prime aziende italiane a dotarsi di una solida struttura di marketing e disponeva di un reparto Ricerca e sviluppo molto avanzato, ubicato nella “palazzina ricerche” del sito di San Sisto, ora sede dell’Arpa Umbria.
Quando nel 1988 la Nestlé ha acquistato da Carlo De Benedetti la Ibp – Industrie Buitoni Perugina (nata dalla fusione tra le due omonime aziende), e la Perugina occupava 2.400 dipendenti, molti tra gli addetti ai lavori ipotizzarono che per la multinazionale svizzera il brand (marchio) più appetibile del gruppo Ibp fosse quello Buitoni, un marchio-ombrello conosciuto e distribuito a livello mondiale nel mercato alimentare del largo consumo, mentre la Perugina era concentrata prevalentemente sul mercato italiano nel settore del regalo e delle occasioni sociali.
A 26 anni di distanza si è visto che quell’ipotesi era purtroppo concreta: Nestlé ha progressivamente ridotto i suoi investimenti in marketing e innovazione sul brand Perugina, con conseguente ridimensionamento dei volumi di produzione (scesi nel 2014 a 25.500 tonnellate) e del numero di addetti dell’unità produttiva di San Sisto (scesi intorno ai 1.000, con una forte incidenza di personale stagionale).
Nel 2014, a fronte di una dichiarazione di esuberi pari a 210 addetti, la Rsu aziendale ha sottoscritto un contratto di solidarietà biennale, in cui i lavoratori di San Sisto accettavano il principio “lavorare meno, lavorare tutti”, permettendo quindi un abbassamento del costo del lavoro e un aumento della competitività dello stabilimento, chiedendo come contropartita a Nestlé la presentazione di un piano industriale di rilancio del brand e della fabbrica.
Questo piano industriale non è mai stato presentato, anzi recentemente Nestlé ha stimato un ulteriore calo nei volumi produttivi del sito nel 2015 (24.500 tonnellate, il più basso della sua storia) e la Rsu e i lavoratori della Perugina, temendo per il futuro dell’azienda, hanno avviato una vertenza “preventiva” sui generis, perché Nestlé passi da una strategia di mantenimento a una di sviluppo.
Una strategia da delineare prima della scadenza del contratto di solidarietà del 2016, per scongiurare le ipotesi più pessimistiche che cominciano a circolare sul futuro del marchio-simbolo e della fabbrica più grande di Perugia, che è anche un pezzo dell’identità della città, ma più in generale di tutta l’Umbria e uno dei marchi più apprezzati del made in Italy (il museo storico della Perugina viene visitato ogni anno da oltre 65.000 persone, quanto la Galleria nazionale dell’Umbria!).
L’11 marzo le organizzazioni sindacali di categoria – Cgil, Cisl, Uil – hanno promosso un incontro aperto anche alle istituzioni e alla società civile, dal significativo titolo “Perugina, un bene comune, un futuro da costruire”. (nella pagina delle lettere del 27 febbraio abbiamo ospitato un intervento del segretario Cisl Ulderico Sbarra n.d.r.)
Nella splendida sede dell’auditorium di Santa Cecilia le istituzioni locali e nazionali erano presenti con il sindaco di Perugia, Andrea Romizi, la presidente della Regione, Catiuscia Marini, e il responsabile Vertenze del ministero dello Sviluppo economico, Giampiero Castano. Hanno portato la solidarietà delle istituzioni e confermato l’impegno a portare la vertenza dei lavoratori della Perugina di fronte ai massimi livelli del management Nestlé in Svizzera, il luogo decisionale dove si definiscono le scelte strategiche fondamentali della multinazionale.
Castano ha detto che in Italia, nella gestione delle crisi aziendali, occorre passare dalla cultura del “trovare i soldi per mandare a casa la gente”, al “trovare i soldi per far tornare a lavorare la gente” creando le condizioni ambientali ed economico-finanziarie per aumentare l’attrattività dell’Italia come mercato di produzione – non solo come mercato di consumo – da parte delle multinazionali.
Luca Turcheria, coordinatore della Rsu Perugina, nella sua relazione ha presentato quello che ha definito un piano industriale in fieri, “per passare dalla protesta alla proposta”, analizzando la storia tormentata degli ultimi 26 anni, i dati economici e produttivi di Nestlé e di Perugina. Ha formulato una proposta di rilancio dei volumi produttivi e dell’occupazione del sito di San Sisto, sia investendo sullo sviluppo dei prodotti in gamma (in primis il prodotto simbolo, i Baci Perugina) con l’innovazione, il potenziamento delle reti distributive e una maggiore internazionalizzazione, sia portando a Perugia una linea produttiva delle cialde Nescafé, che operano in posizione di leadership in un mercato fortemente in sviluppo in Italia e nel mondo.
La presidente Marini ha giustamente ricordato che con la gestione Nestlé la Perugina non ha solo perso occupazione qualificata e volumi produttivi, ma ha subìto un impoverimento notevole sotto il profilo delle figure professionali più elevate (quadri e dirigenti). Infatti – ha ricordato – fino alla fine degli anno ’70 la Perugina era anche una scuola di management, una fucina di intelligenze e di competenze, chiedendo quindi alla multinazionale di riportare a Perugia “non solo le produzioni, ma anche i cervelli”.
Per salvare e rilanciare la Perugina le istituzioni dovranno “fare quadrato”
Quando ero giovane neo-laureato ho avuto la fortuna di lavorare nel settore marketing della Perugina dal 1970 al 1976, sotto la guida dell’allora giovanissimo direttore marketing Gianfranco Faina. Come altri colleghi, ho poi messo – per 38 anni – le competenze acquisite in quel periodo al servizio del tessuto economico locale. Sono convinto che marketing e innovazione siano anche oggi, più che mai, i pilastri dell’azienda, ma aggiungendo l’internazionalizzazione. Proprio per operare nel marketing internazionale, lasciai la Perugina nel 1977, perché ritenevo l’azienda troppo concentrata sul mercato italiano. Nestlé è una grande multinazionale che produce e distribuisce in tutto il mondo; e se è vero, come sostiene, che Perugina è un marchio strategico per l’azienda, e che lo vuole rilanciare, allora torni a investire in marketing e innovazione sul marchio, allargando anche il ventaglio geografico dei mercati di sbocco e utilizzando al meglio le sue reti commerciali internazionali. Non è sufficiente commercializzare in Francia il Bacio con il brand Lanvin, o mettere il marchio “Baci Perugina” nelle scatole dei gelati Motta. Pur apprezzando la proposta del sindacato, personalmente ritengo che per rivitalizzare la Perugina – sia dal punto di vista dei volumi produttivi sia dell’occupazione – piuttosto che pensare a produrre a San Sisto cialde per il caffè, sia molto meglio rilanciare “innovando” gli storici prodotti di successo (confiserie, biscotti e caramelle), distribuendoli nei principali mercati mondiali e tornando a investire congrui budget in pubblicità sul marchio. Nel business plan della Rsu si dice tra l’altro che oggi Nestlé produce a San Sisto 1.500 tonnellate di caramelle, con 60 addetti e una quota di mercato del 2%. Se non ricordo male (mi sono occupato come product manager delle caramelle dal 1971 al 1973), Perugina vendeva allora 10.000 tonnellate di caramelle, 6.000 di sole sfuse, e 1.500 tonnellate erano le vendite della sola “Rossana”. Quanto potenziale inespresso! Credo che noi umbri, come già fatto per l’ast a Terni, si debba fare quadrato a sostegno della vertenza dei lavoratori della Perugina, perché solo con l’impegno di tutti, lavoratori, società civile, istituzioni locali e nazionali, si potrà arrivare a trattare con buone prospettive con il top management della multinazionale svizzera. Cosicché la Perugina, con i suoi 108 anni alle spalle – e il suo prodotto simbolo, i Baci, ne ha 93 – possano conquistare con successo i mercati di tutto il mondo.