E’ l’arte sacra per eccellenza nella Chiesa ortodossa ed oggi è ricercata e praticata anche nella Chiesa cattolica. L’iconografia, l’arte di dipingere le icone, sta interessando sempre più persone, non necessariamente artisti. Il corso che si è tenuto a Rocca Sant’Angelo di Petrignano di Assisi, ne è la dimostrazione. La comunità “Adveniat” (fondata vent’anni fa, si ispira a san Francesco e all’esperienza del Rinnovamento nello Spirito) ne ha già organizzati altri e dall’autunno scorso ha iniziato un corso con cadenza settimanale seguito da una decina di persone. I corsi di iconografia si tengono nell’oratorio della chiesa dell’Eremo di Santa Maria in Arce, trasformato in laboratorio, che conserva alle pareti affreschi di scuola umbra del XIV/XV secolo. Spicca il contrasto tra una Madonna con bambino dai tratti molto umani e la solennità della Madonna dell’icona che gli allievi stanno riproducendo. Il corso conclusosi la settimana scorsa era seguito da quindici persone, tra di loro due suore di clausura, un pensionato, un sacerdote in ‘anno sabbatico’, una casalinga, ed una giovane pugliese, Michela, che vorrebbe fare di questa arte sacra una attività per vivere. Idea da criticare? Qualcuno potrebbe pensarlo. Ma il commercio non è il fine di chi dipinge icone, che pure chiede il giusto compenso per l’opera svolta. A dirlo è il “maestro” iconografo che ha guidato gli allievi nell’arte dell’icona, Giovanni Raffa, calabrese, che a soli 33 anni ne conta già 16 di esperienza e di corsi frequentati sotto la guida di “maestri” russi. Giovanni, e sua moglie Laura vivono di icone. Entrambi iconografi, si sono conosciuti ad un corso ed ora vivono nella città di lei, Perugia. “Quando ho iniziato nessuno sapeva cosa fosse un’icona – racconta Giovanni – oggi tutti le conoscono e le comprano o vogliono imparare a farle, con un fine ben chiaro: pregare”. Ma il “maestro” non insegna a pregare, bensì a realizzare l’icona. Insegna la tecnica: come si comincia, come si stende il colore, come si fanno le ombre sui volti, la dorature e così via. Spiega anche cos’è un’icona, la simbologia di cui è ricca, e parla anche delle due correnti di iconografi che si confrontano sul tema della innovazione. In questi ultimi dieci anni, infatti, è cresciuto il numero degli iconografi e sono soprattutto laici. Pochissimi monaci, frati, preti e suore. Non c’è da stupirsi molto. In realtà anche in oriente, in Russia, molti iconografi sono dei laici, magari sposati e con figli (come lo sono i preti ortodossi iconografi) e sono anche donne. L’idea secondo cui le icone sarebbero dipinte da monaci in preghiera è più un “mito” legato ai nomi di alcuni grandi maestri iconografi monaci, che una realtà d’oggi. Se il maestro insegna la tecnica all’aspirante iconografo resta il dovere di coltivare la propria fede e la propria spiritualità perché quell’opera d’arte che è l’icona nasce e vive, secondo la tradizione, in quanto “opera non fatta da mani d’uomo bensì dallo Spirito Santo”. Basta richiamare alla memoria le tre icone più conosciute: “la Trinità” di Rubliev, il “Gesù Maestro” e la “Madonna della tenerezza”, solo per fare degli esempi. Ma in che modo e, soprattutto, chi può oggi in Italia ‘certificare’ che quel “maestro” piuttosto che l’altro lavora guidato dallo Spirito Santo e che nella sua opera risplende l’immagine divina? Luigina, una delle fondatrici della comunità “Adveniat”, quella che ha desiderato e proposto i corsi di iconografia presso il convento, dopo averne seguiti alcuni, teme che la dimensione spirituale possa passare in secondo piano in alcune esperienze di iconografi e nel modo in cui vengono proposti alcuni corsi. “Certo qui abbiamo la condizione ideale – commenta Giovanni Raffa – perché con la comunità viviamo la preghiera e la meditazione della Parola di Dio, e anche quando lavoriamo è più facile farlo in spirito di preghiera”. La conferma arriva dai partecipanti al corso. Le suore di clausura come la giovane Michela e gli altri, raccontano di un dipingere che, se già di per sé sarebbe rilassante, acquista una profondità legata al soggetto che hanno tra le mani: il Gesù maestro o Maria madre di Dio. Tra il canto gregoriano, spiegazioni e anche risate, per otto ore al giorno, per dieci giorni, gli allievi hanno gli occhi puntati sul grande mistero dell’amore di Dio. Un amore che ha preso un volto umano e che, solo grazie a questo, spiega il maestro iconografo, gli uomini possono osare rappresentarlo. E lo fanno in punta di piedi temendo di rinchiudere in un disegno ciò che, dice la Bibbia “i cieli non possono contenere” al punto che nell’ebraismo come nell’islam è proibito farsi immagini di Dio. E’ per questo che lo sguardo di Gesù e della Madonna o dei santi rappresentati dalle icone spesso va oltre chi la guarda, come a rinviare ad una realtà ulteriore, invisibile al solo occhio umano.
In un convento nei pressi di Assisi rivive l’arte delle icone
Vengono da tutta Italia per seguire corsi di iconografia
AUTORE:
Maria Rita Valli