Il Papa, rivolgendosi all’assemblea del Sinodo dei vescovi, ha detto: “Non siamo un Parlamento”. Voleva dire: non dobbiamo andare alla ricerca di soluzioni di compromesso, come si fa nei Parlamenti. Ma per noi italiani questa frase ha suonato anche in un modo un po’ diverso: ci è giunta in un momento nel quale eravamo tutti sconcertati per le sconcezze verbali e gestuali di alcuni senatori (non importa il partito) all’indirizzo di qualche collega donna. Non una vera e propria novità; insulti irriferibili a sfondo sessuale si erano già sentiti nelle aule parlamentari e in quelle loro propaggini che sono i talk show televisivi; senza parlare di quel movimento che poco tempo fa ha proclamato a livello nazionale un Vaffa Day. C’è un problema di buona educazione; ma anche un problema – più preoccupante – di qualità della classe politica. Un tempo si credeva (non del tutto a torto) che alle alte cariche arrivassero generalmente i migliori; migliori non per moralità forse, ma per intelligenza, cultura, capacità. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento questo fatto era stato analizzato e teorizzato da due grandi sociologi italiani, Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, che avevano elaborato la “teoria delle élites”.
La tesi era che i sistemi politici possono essere diversi (monarchici, aristocratici, democratici) ma di fatto il potere è detenuto da una cerchia ristretta formata dai più svegli, più competenti, più abili, che si riconoscono e si appoggiano gli uni con gli altri, scelgono i loro collaboratori e li preparano a essere i loro successori (nel mio piccolo, confermo che così funzionavano la Democrazia cristiana e il Partito comunista fin verso il 1980, con esiti non sempre brillanti ma accettabili). Poi qualcosa deve essersi rotto nel meccanismo. Dev’essere successo con il dilagare dei metodi della pubblicità commerciale televisiva – il vero “oppio dei popoli” – applicati alla politica. Così è accaduto che adesso le qualità che ci vogliono per vincere le elezioni non sono le stesse che ci vogliono per governare bene. Che futuro ha la democrazia?