L’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011 nel distretto giudiziario dell’Umbria (corte d’Appello di Perugia e tribunali dipendenti) non ha portato grandi novità, a parte la gradita presenza del perugino d’adozione Vladimiro De Nunzio come nuovo presidente della Corte. Infatti al centro di tutti i discorsi vi è sempre la piaga della lunga durata dei processi, penali e civili. E questo in fondo non è che un riflesso di un’altra piaga storica: l’enorme squilibrio fra la domanda e l’offerta del servizio giustizia. Che fa il paio con un altro squilibrio: quello fra il numero dei carcerati e quello dei posti disponibili nelle carceri: squilibrio tanto più grave se a quelli che sono in carcere si aggiungono quelli che dovrebbero andarci ma non ci vengono mandati perché si sa che non c’è posto. Quanto alla lunghezza dei processi, i magistrati dicono di stare facendo tutto il possibile e qualche cosa di più, visto che in Umbria i posti di giudice scoperti sono almeno un quarto del totale; le cose potrebbero migliorare un po’ sopprimendo qualche ufficio giudiziario decentrato, ma, appena si avanza una proposta in questo senso, scoppia una mezza rivoluzione. Gli avvocati, da parte loro, protestano vivamente per le disfunzioni e i ritardi della giustizia, ma non prendono in considerazione l’ipotesi che possano entrarci, in qualche misura, anche i loro comportamenti e in particolare quel fenomeno che gli addetti ai lavori chiamano “abuso del processo”. E cioè l’abuso degli strumenti legali per ostacolare il buon diritto altrui, anche quando si sa di avere torto. Merita una segnalazione, in questo quadro, l’intervento che durante la cerimonia d’inaugurazione ha fatto l’avvocato dello Stato Giampaolo Polizzi. Ha ricordato che in Italia ci sono 240 mila avvocati, che rappresentano un terzo di tutti gli avvocati dell’Unione europea; e che questo numero (che prevedibilmente continuerà a crescere) non può non avere a che fare con la valanga di cause che giorno per giorno si rovescia sui tribunali. Tanto più, ha osservato Polizzi, che la mentalità diffusa è che nessuno deve fare mai un passo indietro, ma ciascuno deve sostenere con ogni mezzo le proprie ragioni, quando ci sono e anche quando non sono ragioni ma torti. Questo, ha aggiunto, è il frutto di un’educazione familiare che, invece che a rispettare i diritti degli altri, insegna ai giovani a prevalere sempre, anche con la prepotenza e la furbizia. La giustizia dei giudici non riesce più a rimediare, in un mondo nel quale il rispetto dei diritti non è più considerata una virtù ma una debolezza.