di Paolo Bustaffa
“Un paese in ginocchio” titolo ricorrente per descrivere la tragedia ucraina, raccoglie in un’immagine infinite altre. Proprio per questo motivo gli si affianca un altro il titolo “In ginocchio di fronte a un Paese”. Dentro un apparente gioco di parole ci sono due verità che si incontrano e si fondono. “In ginocchio di fronte a un Paese” è la postura di quanti osservano e interiorizzano, grazie al lavoro coraggioso degli uomini e delle donne dei media, quello che sta avvenendo.
Nella postura c’è un balbettio, c’è il grido di chi ha il nodo alla gola nel guardare i volti straziati dal dolore di famiglie, di bambini, donne e anziani. Di fronte al volto di chi, dato un bacio ai figli e alla moglie, rimane o ritorna per difendere il proprio Paese ben sapendo quale rischio questo comporti. A questi volti si affiancano quelli dei giovani militari russi ignari complici di un’aggressione e quelli di cittadini russi che sulle piazze vengono arrestati perché si oppongono alla follia. “In ginocchio di fronte a un Paese” diventa uno stare in preghiera sia per chi crede sia per chi non crede.
Nella diversità le due posture dicono che c’è qualcosa che le accomuna: gettare un popolo nella disperazione significa derubarlo dell’anima e della ricerca di Infinito. Un intollerabile furto a tutta l’umanità, un atto violento che spegne il pensiero, straccia i sogni, uccide il futuro. Scrive ne I demoni Fëdor Dostoevskij: “Se gli uomini venissero privati dell’infinitamente grande, non potrebbero più vivere e morrebbero in preda alla disperazione”. Non sarebbero più uomini. Terribile disegno che in Ucraina si sta concretizzando dietro tante morti innocenti, tanti pianti, tante macerie. La preghiera del credente e quella del non credente si incontrano, diventano invocazione e impegno a tenere viva la speranza.
Per ogni uomo pensante la preghiera è infatti come una bussola che guida i passi su strade avvolte nella nebbia. La bussola è uno strumento prezioso ma non basta per raggiungere la meta. Una poesia di David Maria Turoldo lo ricorda: “Ragione non vale a rispondere alle paure che incombono: sensi e pensieri e propositi fanno un solo groviglio: se tu non accendi il tuo lume, Signore”. Stare “in ginocchio di fronte a un Paese” come l’Ucraina è condivisione di dialoghi tra fratelli e dei fratelli con il Padre, è invocazione per liberare dall’angoscia, è un grido potente alle orecchie dei superbi. È un balbettare, perché un nodo serra la gola, che la speranza non è l’ultima a morire, non muore. Ha bisogno delle mani dell’uomo per uscire dalle macerie.