“Davanti a me tu, Signore, prepari una mensa, ungi di olio il mio capo, il mio calice trabocca”: con questa espressione del Salmo 22 che ha tutto il sapore della ricca ospitalità tipicamente orientale, Davide si rivolge al Signore riconoscendolo suo generoso e premuroso pastore.
Questa affettuosa attenzione verso quanti si dispongono a servire il Signore la riscontriamo anche nella pagina del Vangelo nel momento in cui gli apostoli sono invitati da Gesù a stare in disparte con lui per riposarsi un po’. La liturgia della Parola di questa XVI domenica del T. O. ci conduce allora a contemplare le due caratteristiche principali dell’essere pastore del Signore: la premura per le sue pecore e l’unità del gregge. Di conseguenza, quanti svolgono un incarico a nome del Signore devono a loro volta proporsi come saggi pastori nei riguardi di coloro per i quali esercitano un’autorità.
Prima lettura
Ecco perciò l’invito all’ascolto del brano tratto dal capitolo 23 del libro del profeta Geremia, capitolo che presenta il tema del re-pastore, tema ricorrente non solo nella Bibbia ma già nella letteratura del Vicino Oriente antico. Il profeta Geremia si rivolge infatti ai re d’Israele con tono di rimprovero perché si sono manifestati inadempienti e, disinteressandosi del popolo, ne hanno causato la dispersione e l’allontanamento. Ma il Signore non abbandona il Suo popolo a cui farà Lui stesso da pastore, promettendo anche il dono di nuovi pastori che ristabiliranno la compattezza del numero delle “pecore” per cui “non ne mancherà neppure una”. Questo primo periodo di ‘teocrazia’ cui allude il profeta è inerente al periodo post-esilico, periodo in cui effettivamente non sarà più ristabilita ufficialmente la monarchia. Ma dopo questo periodo teocratico, il Signore susciterà pastori tra i quali emergerà il “germoglio giusto”, il ‘nuovo’ Davide, colui che inaugurerà l’èra messianica e “nei suoi giorni” ristabilirà la giustizia e la pace.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro di Geremia 23,1-6SALMO RESPONSORIALE
Salmo 22SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di Paolo agli efesini 2,13-18VANGELO
Dal Vangelo di Marco 6,30-34
Seconda lettura
E dell’ideale della comunità unita e armonica parla anche l’autore della Lettera agli Efesini. Si tratta della situazione delle prime comunità cristiane che erano costituite da due tipi di provenienze, giudee e pagane. Queste due ‘provenienze’ potevano essere motivo di incomprensione e di divisione. L’autore parla infatti di “muro di separazione” alludendo al muro del tempio di Gerusalemme che costituiva il divisorio tra la zona aperta anche ai pagani e la parte sacra accessibile ai soli giudei. Questo “muro di separazione” è stato abbattuto dalla croce di Cristo, che ha dato così origine a “un solo corpo” in cui si radunano tutti i membri di qualsiasi provenienza ormai riconciliati. E la preoccupazione per l’unità dei membri che formano il “corpo” l’ha insegnata e testimoniata Gesù stesso; la apprendiamo dalla pagina del Vangelo, che si pone come consequenziale di quella ascoltata domenica scorsa.
Vangelo
Gli apostoli sono stati infatti inviati in missione (Mc 6,6-13) e ora tornano e fanno il resoconto a Gesù dell’attività svolta tra la gente, attività che ha ottenuto un grande esito perché è scritto che “erano molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare”. A questo punto Gesù si dimostra per ben due volte – pur nella brevissima narrazione – pastore accorto e compassionevole. La prima è nel momento in cui sottrae gli apostoli per “un po’” dal loro estenuante lavoro missionario e li conduce “in un luogo deserto”; l’altra è quando “vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore”.
Relativamente alla prima, Gesù chiama a sé (lett. ‘privatamente’) gli apostoli, seguendo la prassi veterotestamentaria per cui coloro che svolgono un particolare servizio sono “separati” rispetto agli altri e godono di una particolare amicizia con il Signore perché “sono suoi” (cf. Nm 8,14). Il fine di questa ‘separazione’ è il riposo cui ha diritto l’apostolo, diritto contemplato in tanta parte della letteratura biblica sapienziale, come nel Salmo responsoriale che parla dei “pascoli erbosi” su cui il Signore fa riposare. Il luogo geografico del ‘riposo’ è “un luogo deserto” che Gesù stesso di tanto in tanto ha frequentato, testimoniando così la necessità di periodi di intimità con il Padre.
Ma il ritirarsi “in disparte” non è fine a se stesso perché l’attività evangelizzatrice incombe e si deve ripartire! Segue allora il secondo momento quello in cui Gesù si preoccupa dell’unità dei membri di questa comunità nascente perché vide “che erano come pecore che non hanno pastore”. Per significare un’emozione forte e un coinvolgimento intenso viene usato il verbo “avere compassione” che in greco ha una costruzione con il sostantivo ‘viscere’ che per la Bibbia sono la sede dei sentimenti quali la misericordia e la pietà, che conducono il Signore a farsi carico delle povertà degli uomini. Alla povertà della disunione e della dispersione Gesù provvede disponendosi a “insegnare loro molte cose”.
Cosa vuol dirci allora la Parola di Dio? Che il Signore è nostro Pastore, e come tale ci invita a costruire l’unità nelle nostre comunità alla scuola della sua Parola, magari già a partire dai tempi di intimità con lui che il tempo estivo può favorire (“Se vuoi fare bene tutte le cose, ogni tanto smetti di farle”, sant’Ambrogio).
Giuseppina Bruscolotti