Dal 2 aprile scorso, Alaa Abd el-Fattah ha intrapreso uno sciopero della fame nella prigione di Wadi el-Natroun in Egitto. Alaa, condannato a cinque anni di carcere da un “tribunale di emergenza”, protesta contro l’ingiusta condanna che gli è stata comminata, denuncia le condizioni detentive che non rispettano la sua dignità, e vuol far sapere che non gli vengono garantiti i diritti di cittadino con passaporto britannico.
Da molto tempo, però, le autorità egiziane non comunicano notizie circa lo stato di salute di Alaa Abd el-Fattah. Non sono consentite visite, né appare in pubblico, né comunica in qualche modo con la sua famiglia. E tutto il resto del mondo tace, o si volta dall’altra parte, per via degli interessi economici e geostrategici legati all’Egitto.
Tutti, tranne una catena di attivisti che ha intrapreso da tempo un digiuno solidale a staffetta di 24 ore comunicando attraverso l’indirizzo email info@invisiblearabs.com. Non lasciare Alaa da solo è vitale per lui, ma anche per la vita stessa dei diritti umani che, essendo universali, non possono fermarsi ai confini degli Stati.