“I farisei costituiscono il partito religioso nazionalista; sono attaccati alla lettera della Legge e alle usanze; praticano la circoncisione, osservano il sabato, fanno i sacrifici, celebrano il culto. Sono però dominati dal formalismo, dall’ipocrisia, e Gesù li definisce sepolcri imbiancati”. Questa definizione dei farisei, apparsa su un volume di storia della Chiesa recentemente pubblicato da una editrice cattolica, è sbrigativa, superficiale e non critica, e deve essere corretta, anche perché non ci aiuta a cogliere il messaggio della parabola di oggi. Fa di tutta un’erba un fascio, dimenticando non solo che Paolo l’Apostolo viene da questa esperienza religiosa (e così moltissimi di quelli che, come lui, accolsero Gesù come il Messia d’Israele), e lega l’immagine dei farisei a quella del formalismo e dell’ipocrisia.
Allora leggendo la parabola del fariseo e del pubblicano potremmo pensare che il comportamento del fariseo venga riprovato da Gesù in quanto chi lo mette in atto è, appunto, un fariseo; ma non è così. È che siamo subito portati a pensare che fariseo è qualcosa di brutto, negativo, anzi, il termine stesso nel linguaggio comune significa “persona falsa e ipocrita”. La visione dei farisei che abbiamo è stata fortemente influenzata da una parte dal “solito” antigiudaismo (anche intraecclesiale, per il quale Giovanni Paolo II ha chiesto perdono nella preghiera del 12 marzo 2000); dall’altra da ragioni più profonde, che derivano dalle opinioni storico-esegetiche di molti studiosi, anche cristiani, degli scorsi decenni. Tra loro circolava infatti la convinzione che al tempo di Gesù tutto il giudaismo fosse ormai degenerato, relegato ad un legalismo gretto.
Influenzati da idee hegeliane e evoluzioniste, ritenevano che, finita l’epoca dei profeti, non ci fosse più nessuna salvezza per Israele. Queste opinioni sono state riviste abbondantemente, e ora abbiamo uno sguardo più chiaro verso la religione di Gesù, nella quale i farisei avevano una parte importante, anche perché – come scrive lo storico ebreo Giuseppe Flavio – erano molto stimati dalla gente. Ecco alcuni spunti. Primo: non dimentichiamo che il giudaismo è la religione di Gesù: Gesù era ebreo, e lo è rimasto. Secondo: non è vero che il giudaismo al tempo di Gesù fosse un’esperienza negativa, che doveva essere necessariamente sostituita dalla Chiesa. Anzi, le due realtà sono convissute per i primi secoli dell’era cristiana: era possibile essere giudei e credenti in Gesù Messia, ovvero cristiani provenienti da Israele. Terzo: l’insegnamento di Gesù è molto vicino a quello dei farisei.
Pur non essendo uno di loro, come loro, ad esempio, interpreta la Torah, come loro annuncia la risurrezione. Però l’impressione che i farisei fossero tutti ipocriti viene anche dai vangeli, i quali, ispirati e Parola di Dio, usano le parole umane e quindi (per il principio d’incarnazione) sono soggetti alla storia, e sono “di parte”. Così scrive un documento pontificio del 2001 (Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia cristiana, 67;70): “Bisogna ammettere che, molto probabilmente, la presentazione dei farisei nei vangeli è influenzata in parte dalle polemiche più tardive tra cristiani ed ebrei. Al tempo di Gesù, c’erano certamente dei farisei che insegnavano un’etica degna di approvazione”; “Gesù si trova a fronteggiare l’opposizione degli scribi e dei farisei in molteplici occasioni e vi risponde, per ultimo, con una vigorosa controffensiva (23,2-7.13-36), in cui ricorre sei volte l’invettiva scribi e farisei ipocriti.
Questa presentazione riflette in parte, certamente, la situazione della comunità di Matteo”. Detto ancor più apertamente, il ritratto dei farisei fornitoci dal Vangelo è segnato dalle preoccupazioni teologiche degli evangelisti all’epoca della redazione definitiva dei testi, qualche generazione dopo la morte di Gesù, quindi talvolta è difficile stabilire quali fossero i reali rapporti di Gesù con tali gruppi. Tuttavia, sappiamo adesso alcune cose che modificano radicalmente la percezione tradizionale che abbiamo delle relazioni tra Gesù e i farisei. Non si tratta di revisionismo storico, come qualcuno potrebbe pensare. Il senso della parabola di oggi, ad esempio, visto alla luce di quanto detto sopra, si scopre meglio.
Nel fariseo sono condensati gli atteggiamenti negativi che possono entrare in ciascuno di noi. “Il fariseo ringrazia Dio pensando a se stesso. Non ha bisogno di perdono poiché non pecca e quindi non è in debito con Dio, e provvede lui stesso a riparare eventuali mancanze con opere meritorie. Insomma, egli riduce Dio alla funzione di un contabile. È vittima di una pietà che non gli permette di riconoscersi peccatore e di aprirsi al Dio di Gesù che, in modo nuovo, chiama l’uomo alla conversione. Al contrario del fariseo, il pubblicano, consegnandosi senza riserve a Dio, confessando di dipendere totalmente dalla grazia divina, si è messo nell’atteggiamento giusto, un atteggiamento che rende onore a Dio perché Gli permette di poter dare gratuitamente” (Rossé).