La tradizione cristiana fin dai tempi apostolici ha visto nell’episodio del battesimo di Gesù al Giordano il prototipo del nostro battesimo. Ne fa fede la rilettura in senso cristiano che Matteo ci fornisce nel brano di oggi. Per Gesù e per noi il battesimo è inizio di una nuova vita nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo; è il dono dello Spirito santo che guida ormai l’esistenza di Cristo e del cristiano; è la presentazione ufficiale di Gesù e del credente come figli di Dio, amati dal Padre. Tutto questo è inquadrato nella tipologia dell’Esodo, che costituiva il cammino del popolo di Dio verso la Terra promessa. Per questo, l’evangelista mette in fila una successione di episodi che legano l’inizio della vita pubblica di Gesù alla vicenda storica dell’Esodo ebraico.
Il passaggio del Giordano è assimilato già dai Salmi (66,6; 114,3) al passaggio del Mar Rosso: ora Gesù scende nel fiume e ne risale, iniziando una tappa nuova della vita sua e nostra. Poi lo Spirito, che ha appena ricevuto, lo conduce nel deserto, luogo di tentazione per un popolo che vi sostò per quaranta anni di vita dura. Era la scuola che insegnava come la vita non sia facile per nessuno, e i cristiani non hanno sconti particolari. Infine, Gesù sale sulla montagna dove promulga la legge nuova dell’amore che deve guidare la vita di ogni credente. Dunque c’è un popolo nuovo che emerge con Gesù dal Giordano, il popolo dei battezzati. Il racconto di Matteo è scandito da tre momenti: la venuta di Gesù che si accoda ai battezzandi sulle rive del Giordano; il dialogo tra lui e il Battezzatore; la scena di rivelazione, con la venuta dello Spirito e la voce del Padre. Sono momenti significativi che hanno bisogno di attenta riflessione. Quella del Giordano è la prima comparsa di Gesù in pubblico. Egli esce dal silenzio di Nazareth in Galilea e scende in Perea sulla riva orientale del Giordano, all’altezza di Gerico.
Inizia così la sua vita pubblica di maestro e predicatore ambulante. L’evangelista è l’unico che attira l’attenzione sull’aspetto problematico del battesimo di Gesù: perché scende al Giordano, pur non avendo bisogno del battesimo di penitenza amministrato da Giovanni? È lo stesso Precursore a porre il problema: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu viene da me?”. Egli aveva annunciato poco prima: “Colui che viene dopo di me è più potente di me egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco” (3,11). Ora vede arrivare proprio quel Gesù che aveva annunciato e cerca di rifiutargli il suo battesimo, non fatto per lui, ma per i peccatori. Davanti a Cristo che viene, sente che il suo battesimo diventa inutile. Quelle che Gesù pronuncia, in risposta alle obiezioni del Precursore, sono le sue prime parole, assumono perciò un valore programmatico: “Conviene che così adempiamo ogni giustizia”.
Il termine “giustizia” ricorre ben 7 volte in Matteo e sempre indica la “volontà di Dio” da compiere come esigenza ineludibile. Gesù proclamerà più volte che è venuto non per fare la sua volontà, ma la volontà di Colui che lo ha mandato (Gv 6,38). Addirittura dirà che questo è il suo cibo come il pane quotidiano (Gv 4,34). Non meraviglia allora che la prima parola d’inizio corrisponda a quella conclusiva del Getzemani rivolta al Padre: “Non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 26,39). Così era necessario compiere ogni giustizia dall’inizio alla fine, in piena solidarietà con i peccatori. Più che comprendere, Giovanni intuisce, e finirà per indicarlo come “l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Così il battesimo diventa per Gesù l’inizio di un cammino di croce, come è spiegato in una frase un po’ misteriosa da lui sospirata: “C’è un battesimo che devo ricevere e come sono angosciato, finché non sia compiuto” (Lc 12,50).
Per Matteo questo è il momento in cui Gesù è apparso solidale con noi peccatori, come “il servo del Signore” che “ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (8,17 cita Is 51,4). Eccoci alla scena conclusiva, che presenta il battesimo appena ricevuto da Gesù come la sua investitura messianica e la sua presentazione ufficiale al mondo. È una scena trinitaria con il Padre, il Figlio e lo Spirito santo, come la loro venuta invisibile nel battesimo cristiano, scaturito dalla Pasqua e comandato dal Risorto: “Ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo” (Mt 28,19). Si aprono i cieli ad indicare che è cambiato il rapporto tra Dio e gli uomini. Ora Dio è fra noi, cielo e terra si congiungono in Gesù che fa da ponte tra noi e il Padre.
Il cielo aperto consente allo Spirito di discendere su Gesù per investirlo della sua missione salvifica di Messia atteso; lo dichiarerà egli stesso nella sinagoga di Nazareth, citando il profeta Isaia (Is 61,1-3 in Lc 4,18s). L’immagine della colomba come simbolo dello Spirito è presa dall’Antico Testamento, dove ha diversi modelli di riferimento: anzitutto quello dello Spirito che plana sulle acque primordiali per dare inizio alla creazione del mondo (Gn 1,1). Vuol dire che qui sta iniziando una nuova creazione, quella dei figli di Dio strettamente uniti al “primogenito di ogni creatura” (Col 1,15). Un altro riferimento ci indirizza al Cantico dei cantici dove la sposa amata viene chiamata “colomba mia” (2,14; 5,2; 6,9). Starebbe allora ad indicare la manifestazione dell’amore tenero di Dio verso Figlio e verso tutti battezzati.
L’idea è rafforzata dalle parole del Padre che definiscono Gesù “il mio Figlio prediletto”. Le parole del Padre combinano insieme due riferimenti biblici: la proclamazione messianica presente nel Salmo 2,7: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”, e la presentazione del “Servo del Signore”, l’eletto in cui Dio si compiace di Is 42,1, come abbiamo proclamato nella prima lettura di oggi. La voce ha anch’essa origine dal cielo, come lo Spirito, e indica il Figlio inviato dal Padre a battezzare con lo Spirito e a compiere l’opera di salvezza.
Gesù inizia la sua attività pubblica, introdotto e fortificato dal Padre che è nei cieli, per compiere ogni giustizia fino alla sofferenza e alla morte. Quella voce infatti si farà udire di nuovo sul Tabor (17,5), dove Gesù inizia l’ultima tappa del suo cammino verso Gerusalemme per la sua morte e risurrezione. Ma l’appellativo di “Figlio diletto” richiama l’intima relazione filiale che caratterizzò il rapporto di Abramo col suo figlio Isacco (Gn 22,2). Allude dunque al futuro sacrificio del Figlio, che Dio non risparmia come accadde invece ad Isacco. Questo Figlio che inizia il suo cammino avrà gli stessi sentimenti di fiduciosa sottomissione che ebbe Isacco nei confronti di suo padre, nonostante sapesse quello che lo aspettava. Tutti i battezzati dovrebbero adeguarsi, pur non sapendo ciò che li attende nella vita.