L’annuncio pasquale della risurrezione di Gesù è sempre accompagnato da una espressione che si ritrova anche nel Simbolo apostolico e del Credo niceno-costantinopolitano: il terzo giorno (“il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture”).Una formula simile, “dopo tre giorni”, si trova addirittura sulla bocca di Gesù in occasione delle sue profezie sulla passione: “E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare” (Mc 8,31; cfr. 9,31 e 10,34). Nelle versioni di Matteo e di Luca, invece, sempre nel contesto dell’annuncio della passione, è privilegiata l’espressione che abbiamo già presentato, “il terzo giorno” (cfr. Mt 16,21; Lc 9,22).
Anche se la formula di Marco “dopo tre giorni” (si tratta di un semitismo per indicare uno spazio di tempo breve ma indeterminato) è senz’altro più antica di quella che parla di un terzo giorno, quest’ultima espressione ha un significato teologico più ricco, che vogliamo vedere da vicino. In uno dei testi centrali del Nuovo Testamento sulla risurrezione di Gesù, nel capitolo quindicesimo della Prima lettera di Paolo ai Corinti, leggiamo: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (15,3-5). Questo brano è di eccezionale interesse, perché riassume quello che san Paolo stesso chiama il suo vangelo.
Gli autori dei quattro vangeli svilupperanno poi proprio quello che san Paolo ci trasmette come sintesi. Si deve notare inoltre che l’espressione ‘il terzo giorno’ nelle lettere di Paolo si trova soltanto in questo testo, ed è strettamente collegata al fatto che la risurrezione di Gesù sia avvenuta secondo le Scritture. Ma a quale profezia, a quale scrittura sacra biblica si riferirebbe Paolo? Nell’Antico Testamento vi sono più di una ventina di testi che contengono l’espressione “il terzo giorno”, ma nessuno di questi parla di una risurrezione se non un brano dal libro del profeta Osea: “Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza” (Os 6,1-2). Ma, come viene osservato, anche qui abbiamo a che fare con una difficoltà: stranamente questo testo non viene mai citato o ripreso nel Nuovo Testamento per parlare della risurrezione di Gesù.
Un’altra strada da tentare è quella che ci fa percorrere la trama del terzo giorno attraverso la sua teologia nel Primo Testamento. Infatti, l’espressione appare per la prima volta con il patriarca Abramo che – dopo essere partito per sacrificare il figlio Isacco – il terzo giorno vide il luogo dove avrebbe dovuto offrire l’olocausto (Gn 22,4): è al terzo giorno allora che finalmente finisce la sua prova di padre, l’infinita angoscia durata così a lungo, troppo a lungo. Il gesto di Abramo, che fidandosi totalmente di Dio non risparmia nemmeno il figlio, è stato interpretato anche dall’autore della Lettera agli Ebrei come una profezia della morte e risurrezione di Gesù: “Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo” (Eb 11,17-19).
Questa interpretazione però viene da molto lontano, e cioè dalla lettura rabbinica della Torah. La tradizione ebraica infatti ritiene che tutta la storia della salvezza abbia origine dal sacrificio comune di Abramo e di Isacco, perché dalla loro obbedienza ogni benedizione è discesa per gli uomini. Dalla legatura di Isacco, ecco che il terzo giorno è per sempre benedetto: gli ebrei trovano l’acqua da bere il terzo giorno nel loro peregrinare nel deserto (Es 15,22); il terzo giorno Dio si manifesta sul monte Sinai davanti a tutto il suo popolo per donare la Legge (Es 19-20); il terzo giorno le spie inviate da Giosuè a Gerico possono ritornare salve al campo degli israeliti; il terzo giorno Giona esce vivo dal ventre del pesce; il terzo giorno la regina Ester ottiene dal re Assuero la grazia per salvare il proprio popolo.
E potremmo ancora andare avanti a lungo. Il confronto tra tutti questi passi, che i rabbini non potevano mancare di fare, dimostra chiaramente che il terzo giorno è quello in cui tutto sembra finito, ogni speranza è abbandonata, non c’è più nulla da fare: ma è proprio in questo giorno che rifiorisce la vita. Come per Abramo, che in quel giorno vede restituirsi vivo il figlio che ormai pensava già destinato all’olocausto; come per il Cristo, il Messia sofferente che dona la sua vita e poi risorge. Il terzo giorno è quello in cui Dio risolve ogni situazione critica, anche la morte.