Nel Vangelo secondo Marco, come anche per Matteo e per Luca, l’episodio della purificazione del Tempio si viene a trovare dopo l’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme. Siamo, insomma, alla fine della vita pubblica di Gesù, e non – come vediamo oggi nella lettura del quarto Vangelo – all’inizio del suo ministero. La scena in Giovanni si trova invece nel secondo capitolo, quando Gesù ha appena inaugurato i “segni” del Regno con le nozze a Cana. Da quella città, Gesù “discese a Cafàrnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono là solo pochi giorni” (Gv 2,12). Partono infatti subito per Gerusalemme, per la celebrazione della Pasqua.
È la prima delle tre Pasque menzionate da Giovanni. Mentre Marco e Matteo raccontano solo dell’unica (e ultima) Pasqua celebrata da Gesù, quella durante la quale avviene la sua morte e risurrezione, Luca ci dice che Gesù era solito salire a Gerusalemme per la Pasqua sin dalla sua adolescenza, con tutto il clan familiare (cfr. Lc 2,41 ss); Giovanni invece conserva la memoria di un pellegrinaggio a Gerusalemme per una Pasqua anche all’inizio ministero di Gesù. In questa occasione egli non tollera ciò che vede nel cortile esterno del Tempio, dove erano collocati negozi e cambiavalute necessari per i pellegrini ed i loro sacrifici. L’azione di Gesù “è una protesta, come quella dei profeti dell’antichità contro la profanazione della casa di Dio e un segno che la purificazione messianica era vicina” (R. Brown).
Se ne può trovare l’anticipazione in testi quali Ger 7,11 (il testo che Marco e Matteo citano per spiegare quello che fa Gesù), oppure Zac 14,21, un profeta molto usato dai vangeli, dove si dice: ‘In quel giorno non vi sarà neppure un Cananeo (ovvero, un ‘mercante’) nella casa del Signore degli eserciti’. Col suo gesto profetico Gesù vuole spiegare qual è il vero culto davanti a Dio, e che anche il Tempio deve essere posto nella giusta relazione col divino. Oggi, ad esempio, e lo diciamo senza giudicare o polemizzare, alcuni ebrei chiamati ‘ultraortodossi’ ritengono che il Tempio debba essere ricostruito a Gerusalemme. Cercano la famosa vacca rossa di cui si parla in Nm 19,12, le cui ceneri dovranno purificare la spianata dalle profanazioni dei cristiani e degli islamici, e sperano di poter avere di nuovo uno spazio sacro in cui pregare. In un sito internet si può addirittura ammirare come sarà splendido il terzo Tempio.
Noi cristiani abbiamo avuto da Gesù un insegnamento diverso a riguardo del Tempio. Anzitutto non possiamo disprezzarne l’istituzione, perché Gesù non lo ha mai fatto; anzi, egli stesso vi è entrato per pregare ed insegnare, e i suoi discepoli l’hanno frequentato finché è esistito. Non solo: Gesù è letteralmente “divorato” dal suo amore per la casa del Signore, come dice il nostro Vangelo, citando il Sal 69,9. Ma i cristiani sanno anche che sono essi stessi il Tempio (1 Cor 3,16), l’edificio spirituale gradito a Dio (cfr. 1 Pt 2,5), e che Questi può essere adorato non solo su un monte o su un altro, ma in Spirito e Verità (cfr. Gv 4,23). Importanti sono i luoghi dove pregare, ma ancora di più è la stanza della propria anima, quella dove ci si può ritirare, e nella quale in segreto si incontra il Padre. Il Padre, che vede nel segreto, ricompenserà chi lo cerca (cfr. Mt 6,6). Ma il gesto di Gesù dice qualcosa di più.
Il salmo che Giovanni cita a commento della scena, quello sullo zelo per il Tempio, visto nel suo contesto più ampio recita in questo modo: “Per te io sopporto l’insulto e la vergogna mi copre la faccia; sono un estraneo per i miei fratelli, un forestiero per i figli di mia madre. Poiché mi divora lo zelo per la tua casa, ricadono su di me gli oltraggi di chi ti insulta”. Si tratta di una vera e propria profezia sulla morte del Messia, sul fatto che qualcuno distruggerà quel tempio, perché quello era “il Tempio del suo corpo” (Gv 2,21). Il verbo consumare allora “non è più un semplice accenno alla bruciante intensità dello zelo; nell’interpretazione di Giovanni, il Salmo significa che lo zelo per il Tempio distruggerà Gesù e lo porterà alla morte” (R. Brown).
Quanto esempio dovremmo prendere dal Cristo. Quanto poco zelanti sono la nostra fede e il nostro modo di vivere il Vangelo. E non penso, ovviamente, che dovremmo andare in giro a scacciare gli “intrusi” dai nostri templi che sono le chiese, ma piuttosto che dovremmo evitare che nel rapporto con Dio entrino altri interessi. Quelli politici o i nazionalismi, ad esempio, che inquinano oggi i rapporti tra i popoli e rivestono i loro obiettivi di potere con finti sentimenti religiosi. I cristiani devono scacciare i mercanti dicendo ad alta voce che Dio non vuole le guerre ma la pace, non l’odio religioso tra i popoli ma il pacifico rispetto delle fedi degli altri. Come ha avuto modo di dire con toni molto forti Papa Benedetto all’Angelus del 26 febbraio 2006, “i frutti della fede in Dio non sono devastanti antagonismi, ma spirito di fraternità e di collaborazione per il bene comune. Dio, Creatore e Padre di tutti, chiederà conto ancor più a chi sparge in suo nome il sangue del fratello”.