Così complesso è il vangelo di oggi, che dobbiamo accontentarci di approfondire solo i suoi primi versetti: “Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, (Gesù) disse: Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta” (Lc 21,5-6). Perché questa profezia tragica? Gesù aveva pianto poco prima su Gerusalemme: “Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc 19,41-44). E aveva anche reagito con forza contro un uso profano di quello spazio: “Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, dicendo: Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!” (Lc 19,45-46).
Ma Gesù era forse contro il tempio, e la sua profezia esprimeva un desiderio di rivalsa, o di avversione verso quell’antica istituzione d’Israele? Durante il processo che subisce, Gesù viene proprio accusato di aver minacciato di distruggere quell’edificio: “Ma alcuni si alzarono per testimoniare il falso contro di lui, dicendo: ‘Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d’uomo’. Ma nemmeno su questo punto la loro testimonianza era concorde” (Mc 14,57-59). Si trattava, però, come il vangelo ben sottolinea, di un’accusa ingiusta e falsa. Sarà la stessa che porterà alla morte di Stefano, secondo quanto riferito da At 6,13-14: “Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: ‘Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè'”. Che cosa poteva aver detto Gesù, e dopo di lui anche Stefano, da scatenare l’opposizione delle classi sacerdotali di Gerusalemme? Niente contro il tempio. Tanto che Gesù lo frequenta, e lì insegna, ed avrà anch’egli percepito in quel luogo sacro la presenza del Padre.
È proprio Luca che ci riferisce come nel tempio Gesù riesce bene ad occuparsi delle cose del Padre suo (cfr. Lc 2,49). Anche i discepoli di Gesù, poi, non dobbiamo dimenticarlo, vanno al tempio dopo la sua risurrezione (At 2,46: “Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore”). È che Gesù (e dopo di lui Stefano) relativizza l’importanza del tempio di Gerusalemme. Rileggiamo Mc 12,6-8: “C’è qualcosa più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio…”. Gesù conferisce cioè al tempio il ruolo che ha, ma non lo critica in sé: ha solo timore che il tempio diventi un’altra forma, più elaborata, di idolatria, o che si sostituisca all’incontro con Dio.
In questo senso, Gesù è nella linea dei profeti d’Israele, come Geremia, che mettono in guardia il popolo: “Non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore è questo!” (Ger 7,4). Ogni volta che Israele prova a delimitare la presenza di Dio, e di contenerlo in forme visibili come un vitello d’oro, o un’arca, o un tempio; ogni volta che crede di poter dire: “solo lì è Dio”, si deve ricredere nel modo più tragico. Torniamo al senso delle parole di Gesù, leggendo la sua profezia in due modi. Con il primo ci rifacciamo ad un suo significato storico. Gesù dice qualcosa che tristemente si avvera quando il tempio verrà bruciato nel 70 d.C. dai romani. Sull’arco di Tito, ai Fori di Roma, possiamo ancora vedere raffigurata questa scena. Ma vi è un secondo significato. Gesù dice che il tempio – come ogni realtà di questo mondo – comunque è destinato a finire. Anche le realtà più belle e sacre (“Maestro, guarda che pietre e che costruzioni”, Mc 13,1; Lc: “le belle pietre”); addirittura anche quelle che rimandano alla presenza di Dio.
È questo infatti che deve accadere, perché Dio, che dirige la storia con la sua Provvidenza, la porta anche a termine. La realtà che conosciamo terminerà, e aspettiamo la Gerusalemme, finalmente la nostra patria, dove non ci sarà più un tempio: “Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio” (Ap 21,22). Ma non dobbiamo ripetere gli errori del passato. Da una teologia ci dobbiamo soprattutto guardare, quella della sostituzione, come se Dio, dopo l’avvento di Gesù, avesse ritenuta necessaria la fine di Israele o dell’antica alleanza, e quindi la distruzione del tempio. Ciò che ha ragioni storiche, non può essere letto come una punizione per gli “increduli giudei”. Mi spiace scriverlo, ma si sbagliava sant’Ambrogio, quando attribuiva alle parole di Gesù un senso che non avevano, scrivendo: “C’è anche un altro tempio, costruito di belle pietre e ornato di doni, di cui il Signore sembra indicare la distruzione: la sinagoga dei Giudei, il cui invecchiato edificio va in rovina al sorgere della Chiesa” (Commento a Luca).